lunedì 30 agosto 2010

I have landed: io sono qui sull'albero della vita.

Come iniziare questo blog?
Come dare un inizio al tutto?
Come raccogliere il tutto in una forma grafica facilmente visibile e, soprattutto, capita?
Le migliori favole iniziano con: "C'era una volta"; in questo caso, c'era una volta Mr. Darwin ed esiste ancora quella rottura del continuum filosofico che vedeva nell'atto creativo divino l'origine di ogni cosa.
C'era una volta e c'è ancora Mr. Darwin, eiste ancora quella sua idea della vita, perciò per prima cosa un omaggio a colui che ha dato inizio a questa storia: Charls Robert Darwin (Shrewsbury, 12 febbraio 1809 – Londra, 19 aprile 1882), e nel modo migliore e consueto, con la sua immagine più bella, il suo ritratto migliore, la caricatura per eccellenza del venerabile orango "A Venerable Orang-outang", a caricature of Charles Darwin as an ape published in The Hornet, a satirical magazine, 22 marzo 1871".

A venerable Orang-outang: a contribution to unnatural history in: University College London Digital Collections (18886).


Darwin, Charles, 1809-1882 - On the Origin of Species by Means of Natural selection, or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life. London : John Murray, 1860.
In secondo luogo un omaggio e un gradito pensiero di affetto per la sua opera massima, L'Origine della Specie o semplicemente "L'Origine" come amava definirla, la prima edizione de "The first edition of On the Origin of Species by Means of Natural Selection was published in London on November 24, 1859; after deducting author's review and legal deposit copies from the edition of 1,250 copies, all remaining 1,170 copies were taken up by booksellers on that same day. A second London edition with slight revisions appeared on January 6, 1860. The first US edition, based on the London first, was published in the middle of June 1860. The first German edition appeared in 1860, and the third London edition was published in April 1861. Six editions in all—1859, 1860, 1861, 1866, 1869 and 1872—were published by John Murray in London and variously revised by Darwin himself. Morse Peckham, who produced a variorum edition of the Origin, wrote ". . . the sixth edition is nearly a third as long again as the first." (Tratto da: Is man an ape or an angel? - From the holdings of the Department of Special Collections - Kenneth Spencer Research Library).

The Rare Book Collection features a first-edition copy of On the Origin of Species (1859) with a letter signed by Charles Darwin on the inside cover.
"There is grandeur in this view of life, with its several powers, having been originally breathed by the Creator into a few forms or into one ... from so simple a beginning endless forms most beautiful and most wonderful have been, and are being evolved." (Charls R. Darwin)

......dunque si evolve:

Lo schema sopra è tratto dall’Origine della specie di Darwin; le lettere dalla A alla E rappresentano specie di uno stesso genere, con diverso grado di somiglianza fra loro; le linee tratteggiate indicano la "discendenza variante", cioè con variazioni che Darwin ipotizza molto lievi... ma della natura più differenziata; esse non compaiono simultaneamente, ma sovente dopo lunghi intervalli di tempo... ciò conduce alle più differenti e divergenti variazioni... quando una linea divergente incontra un punto, si suppone che una somma di variazioni si sia accumulata sino a formare una varietà assai ben marcata, tanto da essere ritenuta degna di essere registrata in un'opera di sistematica… (Darwin's tree of life 1859).
This figure appears in chapter 4 of Darwin's On the Origin of Species. The x axis represents a hypothetical ecological variable. The y axis represents time. Each horizontal line, associated with roman numerals I to XIV, represents a long but unspecified interval of time. A to L are 11 species in a hypothetical genus. Two of these species (A and I) diversify over time, whereas eight become extinct. One species (F) does not diversify but has surviving descendants, and it represents what Darwin described as "living fossils" — slowly evolving lineages that survived in marginal habitats where they were shielded from interactions with more rapidly diversifying lineages. At each intersection between the diversifying lineages and the divisions in time, the lineage is represented by diverging dashed lines, which are varieties that differ from one another in characteristics and habitat use. Most of these become extinct. Some, labelled with lower-case letters and numerical superscripts, represent distinct descendent subspecies or species. The descendants seen at each time horizon are not simply modified versions of their immediate ancestor but new and improved organisms that outcompeted their parental lineage and drove it to extinction. Thus a2 is not just a1 1,000 generations later; it is a daughter lineage that outcompeted a1. If there is more than one surviving lineage at a node, the survivors tend to be the ones most different from one another. For example, a1 and m1 are the most divergent populations derived from A at the end of the first time interval, and these are the ones that survive. As each lineage diversifies, its descendants fan out along the x axis, occupying progressively more ecological space. They do so at the expense of the species that lie closest to them on the x axis, which become extinct, presumably because they lost out in competition for resources. (Figure reproduced from ref. 1.).  Tratto da: Darwin's bridge between microevolution and macroevolution - David N. Reznick & Robert E. Ricklefs Nature 457, 837-842 (12 February 2009) e da Pikaia Micro e macroevoluzione: quale relazione? (18/02/2009).
La prima rappresentazione della vita, inteso come diagramma di un albero evolutivo, spetta di diritto a Darwin:

Charles Darwin's 1837 sketch, his first diagram of an evolutionary tree from his First Notebook on Transmutation of Species (1837) on view at the the Museum of Natural History in Manhattan.
Interpretation of handwriting: "I think case must be that one generation should have as many living as now. To do this and to have as many species in same genus (as is) requires extinction . Thus between A + B the immense gap of relation. C + B the finest gradation. B+D rather greater distinction. Thus genera would be formed. Bearing relation" (next page begins) "to ancient types with several extinct forms"

Primo diagramma di Darwin di un albero evolutivo. (La specie originale più antica è indicata con il numero 1; dei rami susseguenti, quelli che si sono estinti terminano con il tratto lineare, mentre quelli che hanno dato origine alle specie che sopravvivono, terminano con un segno trasversale. Questi ultimi rientrano in quattro gruppi: A, B, C, D, ciascuno dei quali costituisce un genere. L'ampiezza dell'estinzione che si è compiuta corrisponde al più ampio intervallo fra A e B, mentre B si trova più vicino a C e meno vicino a D. (da The first notebook of transmutation of species, 1837).
In terzo luogo un particolare contributo di un suo "discepolo" Stephen Jay Gould (New York, 10 settembre 1941 – 20 maggio 2002).

Gould è un autore di attente riflessioni sul darwinismo e sui meccanismi che regolano l’evoluzione e per lui, il corso degli eventi evolutivi è strettamente influenzato da fattori di discendenza, variazione, adattamento per selezione e adattamento di vecchi mezzi a nuovi scopi, che agiscono sia a livello collettivo che nella dimensione quotidiana e familiare:
“L’albero della vita in senso lato è come la genealogia di ogni famiglia e con questa condivide la stessa topologia e lo stesso segreto del successo nell’armonizzare due temi apparentemente contraddittori: quello della continuità senza la minima interruzione, e quello del cambiamento”. (Stephen Jay Gould)
In poche parola l'albero della vita descrive le conoscenze accumulate sui processi evolutivi, traccia le linee di sviluppo, descrive le relazioni esistenti, i fattori determinanti e le divergenze accumulatesi durante la storia della Terra andando via via rassomigliando più ad un cespuglio folto, dalla base (il ceppo e la radice) solida e gigantesca fatta da organismi semplici come batteri e archeobatteri (procarioti), più che ad un vero albero e la cui chioma, molto ramificata, è costituiti dalla restante parte dei viventi, gli eucarioti (ad esempio noi).
I have landed è dunque una storia di famiglia. E' una rottura di quel continuum che vede le specie evolversi gradualmente (gradualismo filetico), anche se a ritmi variabili, verso tutto ciò che rappresenta il vivente oggi; è l'introduzione di un nuovo approccio all'evoluzionismo (in I have landed, Gould omaggia la sua "nuova" famiglia, inteso come ramo americano originatosi a partire dai suoi antenati europei, la madre di suo nonno e le sue sorelle, arrivate in america nei primi del 1900: “I have landed, 11th September 1901”: con queste parole Joseph Rosenberg, Papa Joe, nonno del celebre paleontologo evoluzionista Stephen Jay Gould, appuntava su un suo libro di grammatica inglese, il suo sbarco a New York).
Stephen Jay Gould
Il nuovo approccio evolutivo, sviluppato da Gould e da Niles Eldredge, rivede l'inesattezza del gradualismo filetico, tanto caro a Darwin, ma sempre alla luce del darwinismo, in una nuova visione della teoria darwiniana, priva di quei limiti deduttivi che erano presenti nel pensiero di Darwin e nella sua idea della vita.
Gould e Eldredge sviluppano negli anni '70 la Teoria degli equilibri punteggiati (in inglese Punctuated equilibrium theory).
Niles Eldredge
Il nuovo modello evolutivo proposto da Gould e Eldredge presenta una nuova visione della speciazione ( in inglese speciation) sviluppata da Ernst Mayr.
Anche in questo caso assistiamo ad una evoluzione risultante dalla selezione naturale e/o dalla deriva genetica e/o da altri fattori speciativi (come l'isolamento riproduttivo, geografico o genetico, l'effetto del fondatore e l'accumulo di mutazioni) che sono i motori della evoluzione, ma la nuova teoria degli equilibri puntegiati si basa su un postulato nuovo, ossia che le specie rimanessero stabili per lungo tempo e che variassero in brevi periodi.
Gradualismo filetico, in alto, a confronto con Equilibri punteggiati, in basso: consiste di lunghi periodi di stabilità intervallati a momenti di rapida differenziazione.
La nuova teoria superava una delle difficoltà oggettive di maggiore rivelanza, la mancanza di testimonianze fossili, soprattutto per quelle forme intermedie che dovevano rappresentare la graduale trasformazione di una specie in un altra (l'ormai abbandonata ricerca ossessiva di "anelli mancanti", in inglese missing link o transitional fossil):
Gould e Eldredge basarono la loro teoria sulla allora carenza di testimonianze fossili le quali risultavano poco coerenti con una teoria evolutiva incentrata sulla costanza dell’evoluzione. La teoria degli equilibri punteggiati postulò che le specie rimanessero stabili per lungo tempo e che variassero in brevi periodi.
Ernst Mayr
I principi fondamentali stabiliti da Gould e Eldredge per la loro teoria furono:
  • Le nuove specie sorgono in seguito a una scissione della linea evolutiva
  • Vi sono periodi temporali all'interno dei quali le nuove specie si differenziano rapidamente, altri in cui tendo a rimanere stabili.
  • All'origine della nuova specie si trova una piccola sottopopolazione della forma ancestrale.
  • La nuova specie si origina in una parte piccolissima dell'ambito di distribuzione geografica della specie ancestrale, in un'area isolata alla periferia di questo ambito. (Eldredge, Gould,1972)
Ovviamente questo andava contro al tema centrale della teoria del gradualismo filetico, confutandone la sua validità, che in sintesi prevedeva:
Le nuove specie si originano dalla trasformazione di una popolazione antenata nelle sue discendenti modificate.
Questa trasformazione è graduale ma a velocità variabile secondo i casi.
La trasformazione avviene quando una popolazione è isolata dal punto di vista riproduttivo.
La trasformazione ha luogo in tutto l'ambito di distribuzione della popolazione antenata, o almeno in gran parte di esso.
In pratica:
Per Gould questo modello trova applicazione all'interno della formazione di Phyla in quanto per il darwinismo classico, l'evoluzione procede gradualmente, con il passaggio di una specie all'altra in maniera costante, quasi senza soluzione di continuità, ma i ritrovamenti di strati rocciosi all'interno dei quali si ritrovano moltissime evidenze di evoluzione intervallati da strati rocciosi all'interno dei quali i fossili non mostrano segni evidenti di evoluzione è per Gould la dimostrazione della validità delle proprie argomentazioni.
I riscontri paleontologici e geologici derivanti dallo studio delle rocce depostesi negli ultimi 600 milioni di anni della storia della Terra forniscono un supporto al modello degli equilibri punteggiati, in particolar modo rivelando fasi geologiche in cui si osservarono oscillazioni macroscopiche delle temperature medie sulla superficie terrestre, del livello del mare, del tasso di CO2, dell'attività tettonica, della biodiversità e degli impatti meteoritici.
In queste situazioni si assiste a scissioni e differenziazioni di popolazioni recanti variabili diverse dalle rispettive specie di partenza (specie ancestrale) a rapida evoluzione (punteggiature) seguite da stasi durante le quali le nuove popolazioni salgono a livello di specie (equilibri o stasi): da una specie ancestrale, il cui destino è indipendente da quello delle popolazione divergenti, si assiste alla comparsa di una nuova specie (specie derivata) in un rapporto di antenato/discendente.
In questo contesto non si assite più all'ossessiva ricerca di anelli mancanti, ma a dare caratterizzazione a quelle che sono le popolazioni di transizione (le punteggiature della teoria di Gould e Eldredge), estendendo il concetto di speciazione di Ernest Mayr di una rivoluzione genetica che interessava sia la speciazione allopatrica (quando una barriera geografica isola due popolazioni il cui futuro evolutivo sarà indipendente l'uno dall'altro), che la speciazione parapatrica (quando l'isolamento di due popolazioni avviene all'interno della stessa specie per insorgenza di barriere diverse da quelle naturali, come quelle determinate da insorgenza di diversi comportamenti sociali o di preferenza di habitat, pur non limitando le possibilità di contatto attraverso migrazioni, ma semplicemente, perchè il proprio areale è troppo esteso perchè le popolazioni alle due estremità possono avere contatto continuo) e , ovviamente la speciazione peripatrica (quando avviene l'isolamento di una popolazione dal resto della specie, per semplice migrazione ad esempio su una isola e quindi assistiamo all'effetto del fondatore) e la speciazione simpatrica (quando la selesione naturale agisce sull'insorgenza di mutazioni genetiche o cromosomiche).
Il modello degli equilibri punteggiati differisce dall'ipotesi di speciazione di Ernst Mayr in quanto, mentre questi dava risalto all'improvvisa comparsa di nuove strutture anatomiche (punctuational patterns o saltuarietà morfologica), come evidenziato analizzando l'anatomia dei fossili presenti nei strati geologici successivi, Gould e Eldredge posero in particolare rilievo le stasi (equilibri).
Lo stesso Ernst Mayr alla fine si convinse e si trovò in accorodo con i due autori:
Mayr si disse concorde con quanto riportato da Eldredge e Gould, ammettendo che la presenza dei periodi di stasi evolutiva, periodi di stasi sostenuti dai due paleontologi, erano "inaspettati dai biologi evolutivi" e che il modello degli equilibri punteggiati "aveva un impatto notevole sulla paleontologia e la biologia evolutiva".
Precedentemente allo scritto congiunto del 1972, Eldredge pubblicò uno scritto nel 1971 sul Journal of Evolution, in cui suggeriva che se l'evoluzione graduale fosse stata costante si sarebbero dovute ritrovare successioni di fossili che dimostrassero tale costanza dell'evoluzione, ma molto raramente le successioni di fossili ritrovati confermavano tale gradulismo e costanza nella trasformazione di una specie in un'altra, pertanto egli riteneva che il probabile meccanismo preferito dall'evoluzione fosse quello proposto da Ernst Mayr, giudicandolo come un possibile modo per risolvere la questione sulla costanza o meno dell'evoluzione.
Eldredge e Gould presentarono il loro lavoro ed i loro risultati durante il congresso annuale della Società Geologica Americana (Geological Society of America) nel 1971.
Il congresso concentrò la sua attenzione sulla possibilità degli studi moderni di dare nuova vita ai vari aspetti della paleontologia ed agli studi sull'evoluzione. Tom Schopf, responsabile dell'organizzazione del congresso, assegnò a Gould il tema della speciazione. Gould richiamò l'attenzione sulla pubblicazione del 1971 di Eldredge sostenendo che costui aveva presentato le uniche idee nuove ed interessanti sulle implicazioni paleontologiche, per questo motivo chiese a Schopf che egli potesse presentare il lavoro congiuntamente a Eldredge.
Riguardo l'elaborazione del modello, secondo Gould, le idee vennero principalmente da Eldredge; Gould coniò il termine equilibri punteggiati (punctuated equilibrium) e scrisse la maggior parte degli articoli, in particolare quello del 1972, ma Gould riteneva che in Eldredge si dovesse identificare il primo autore negli articoli scientifici firmati Eldredge e Gould.
La velocità l'evoluzione.
Il primo a sostenere che la velocità dell’evoluzione non fosse costante fu lo stesso Darwin il quale affermava che:
«Molte specie, dopo essere state formate, non sono mai andate incontro a ulteriori mutamenti (...) ed i periodi, durante i quali le specie sono andate incontro a modificazioni, anche se lunghi misurati in anni, probabilmente sono stati brevi in confronto ai periodi in cui hanno mantenuto la stessa forma.» (Charles Darwin; L'origine delle specie; 1872; 6° edizione; capitolo XV)
Con Gould e Eldredge la questione della velocità nell'evoluzione viene riportata sul tema proposto originariamente da Darwin, in contrapposizione ai loro contemporanei che vedevano una evoluzione graduale la cui velocità è costante (velocità evolutiva), ovvero l'accento della velocità dell'evoluzione si è spostata sulle questioni sollevate dal neodarwinismo (in inglese neodarwinism) e il termine velocità evolutiva si riferisce alla costanza o meno dell’evoluzione in relazione al tempo, cioè se l’evoluzione d’una specie è costante o intervalla momenti di stasi a momenti di veloce evoluzione, proponendo per una evoluzione che intervalla momenti di stasi a momenti di rapida evoluzione (speciazione).
Gould e Eldredge forniscono un buon esempio di integrazione da "sintesi moderna" (altro nome del neodarwinismo), un lavoro congiunto tra genetica delle popolazioni, selezione naturale, eredità biologica e dati paleontologici, che ha portato allo sviluppo di quel rapporto esistente tra microevoluzione (in inglese microevolution) e macroevoluzione (in inglese macroevolution) e, come risultato visivo, quella rappresentazione grafica dell'albero della vita, che ci vede solo come un ramoscello tra la folta chioma rappresentata da tutti gli organismi viventi, ognuno ramoscello singolo che si unisce alla base di un ramo, andando a costituire un nodo.
Quel nodo rappresenta l'ultimo antenato comune tra la specie (il ramoscello) e l'intero albero (il ramo, che diverge da una branca, che diverge dal fusto, che si inalza dalle radici).
La rappresentazione grafica dell'albero della vita non può prescindere gli sviluppi della tassonomia (in inglese taxonomy), della sistematica (in inglese systematics) e della cladistica (in inglese cladistics).
Confrontarsi con la diversità della vita e poterla studiare in quanto tale significa anche attrezzarsi per "classificarle", non fosse che per avere un sistema generale, condiviso da tutti gli studiosi, cui fare riferimento. Tale necessità non è poi molto diversa dalle istanze che mossero Carolus Linnaeus, il grande naturalista svedese (Carl Nilsson Linnaeus o Carl von Linne, Rashult, 23 maggio 1707 – Uppsala, 10 gennaio 1778) nel 1735 a proporre il suo Systema Naturae, che ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo delle scienze naturali, e la cui struttura è tutt'ora seguita nella "sistematica" biologica. In effetti, molte delle discussioni sul concetto di "classificazione" che sono scorse copiose in tutta la storia delle scienze naturali dal Settecento ad oggi sono illuminanti anche per gli sviluppi successivi della moderna cladistica.
Carl Nilsson Linnaeus (Linneo)
Un affresco storico di quelle discussioni assolutamente stimolante è quello che ne dà Enst Mayr nel suo The Growth of Biological Thought. Diversity, Evolution, and Inheritance, Cambridge (Mass.) - London (UK), The Belknap Press of Harvard University Press, 1982, tradotto come Storia del pensiero biologico. Diversità, evoluzione, eredità, edizione italiana a cura di Pietro Corsi, Torino, Bollati Boringhieri, 1990; cfr. in particolare le pp. 83-243 dell'ed. it. dedicate a La diversità della vita ed alla Macrotassonomia, la scienza della classificazione.
In particolare due ordini di considerazioni sono particolarmente per la classificazione delle specie viventi: quello relativo alla struttura (tassonomia) e quello relativo ai criteri (arbitrarietà). In effetti, è la struttura del sistema linneiano, inteso come una griglia di taxa (plurale del greco taxon 'posto'), ossia una "tassonomia", ad essere ancora attuale (soprattutto la struttura binomiale dei nomi, genere + specie, come Homo sapiens, la cui introduzione risale appunto a Linneo), e non i principi con cui le specie (il taxon base) venivano definite e collocate nella tassonomia (Linneo operava un secolo prima di Darwin, ed aveva, necessariamente, un concetto non evoluzionistico, ed anzi essenzialistico, della specie).
Riproduco qui sotto, nella sua forma più dettagliata, la tassonomia oggi in uso nella sistematica biologica:
Nomi e gerarchia dei taxa nella tassonomia biologica moderna. La nomenclatura nella tavola è in inglese; è ancora, comunque, spesso usato ancora il latino, che userò invece in questa didascalia. Solo quattro taxa, ossia regnum, classis, genus e species, risalgono al Systema originario di Linneo, phylum invece è stato introdotto da Georges Cuvier (1769-1832) nel 1799; quasi tutti i taxa possono contenere dei subtaxa quando necessario (quelli stampati sono i più standard, ma sono frequenti anche subphylum e subordo); cohors e tribus non sono usati in tutte le tassonomie.
Riprodotto da Ernst Mayr, What Evolution Is, New York, Basic Books, 2001.
Non c'è ancora un consenso così consolidato sui taxa da usare, cosa, se ci pensate bene, anche comprensibile date le difficoltà che abbiamo visto nella determinazione del nostro taxon di base, la specie (~ species), e del suo immediato inferiore, la subspecie (~subspecies).
Già intuitivamente è evidente che quando si fa una classificazione si hanno dei precisi scopi pratici: significativamente, come abbiamo rilevato, gli scopi (identificare e descrivere tutti i vegetali e gli animali) ed i criteri (basilarmente il tipo di riproduzione) della sistematica di Linneo sono diversi da quelli della biologia moderna, post-darwiniana, per la quale lo scopo è piuttosto identificare la corretta filogenesi delle specie, e gli strumenti impiegativi sono sempre più le sequenziazioni geniche, anche se le caratteristiche morfologiche (come quelle legate alla riproduzione, care a Linneo) tengono ancora il loro posto.
Copertina di Systema Naturæ (1758) di Linneo.
Il merito maggiore di Linneo fu la definizione e l'introduzione nel 1735 della nomenclatura binomiale (in inglese binomial nomenclature), basata sul modello aristotelico di definizione mediante genere prossimo e differenza specifica, nel sistema di classificazione delle piante e degli animali. Con questo metodo tassonomico (concepito poco più di un secolo prima da Bauhin) a ciascun organismo sono attribuiti due nomi (in origine in latino): il primo si riferisce al Genere di appartenenza dell'organismo stesso ed è uguale per tutte le specie che condividono alcuni caratteri principali (nomen genericum); il secondo termine, che è spesso descrittivo, designa la Specie propriamente detta (nome triviale o nome specifico).
La portata dell’innovazione fu enorme; precedentemente alla nomenclatura binomiale il sistema di nomenclatura era semplicemente basato su un'estesa descrizione di ogni pianta, in latino, per i caratteri distintivi ritenuti di rilievo, in modo del tutto arbitrario, da ogni classificatore.
Il primo "albero filogenetico" della vita è probabilmente quello disegnato da Ernst Haeckel (1834-1919) nel 1866, che riproduco qui sotto per via della concretizzazione materiale - un poco ingenua, se vogliamo - del concetto che noi (matematicamente) chiameremmo "struttura arborescente orientata" in un albero vero e proprio.
Il primo (1866) albero filogenetico della vita: il monophiletischer Stammbaum di Ernst Haeckel, dalla sua Generelle Morphologie der Organismen: Allgemeine Grundzüge der Organischen Formen-Wissenschaft, mechanisch begründet durch die von Charles Darwin reformierte Descendenz-Theorie, Berlin, Georg Reimer, 1866. Potete utilmente confrontarlo con il moderno albero della vita, che presentato più avanti, tanto dal punto di vista della struttura (qui "Stammbaum" naturalistico, là "struttura arborescente orientata" generata formalmente), quanto da quello del contenuto (l'avanzamento delle conoscenze in poco più di un secolo di biologia è stupefacente!).
Un albero filogenetico è un diagramma che mostra le relazioni di discendenza comune di gruppi tassonomici di organismi.
La rappresentazione delle relazioni in questa forma è tipica della visione evoluzionistica, secondo la quale lo sviluppo delle forme di vita è avvenuto a partire da un progenitore comune (il tronco o la base dell'albero, altrimenti detta radice), il quale ha dato origine per speciazione a diverse linee di discendenza, fino ad arrivare alle specie attualmente esistenti (le cime dell'albero, altrimente dette ramificazioni terminali). In un albero filogenetico, ciascun nodo (o biforcazione) rappresenta l'antenato comune più recente dei soggetti che si trovano ai nodi successivi e la lunghezza delle ramificazioni può -o meno- essere correlata al tempo o ai cambiamenti genetici che intercorrono tra di essi.
Gli alberi filogenetici vengono costruiti in base a dati anatomici, biochimici, genetici e paleontologici. La branca della scienza che si occupa dello studio di queste informazioni e della compilazione degli alberi filogenetici prende il nome di filogenetica computazionale.
Esempio di albero filogenetico
Gli alberi filogenetici possono essere divisi in due grandi tipologie: gli alberi radicati e gli alberi non radicati.
  • Un albero radicato (in inglese rooted) viene visualizzato tramite un grafo diretto, una struttura ad albero che si dipana a partire da un unico nodo, rappresentante il più recente antenato comune delle forme di vita che si trovano alle estremità dell'albero. In questo modo, un albero filogenetico radicato è in grado di fornire informazioni sia sulla correlazione genetica esistente tra gli organismi presenti sulle sue ramificazioni, sia sui rapporti evolutivi che intercorrono tra gli stessi. La figura Esempio di albero filogenetico mostra un esempio di albero radicato, colorato in modo diverso in modo da evienziare i tre diversi dominii.
  • Un albero non radicato, al contrario, illustra le relazioni genetiche che intercorrono tra gli organismi che si trovano ai suoi apici, ma non fornisce alcuna informazione in merito alla loro evoluzione. La figura Albero non radicato riferito alla famiglia genica della proteina miosina mostra appunto un albero di questo tipo, riferito alla famiglia di geni per la miosina.
Albero non radicato riferito alla famiglia genica della proteina miosina.
Il metodo più comune per realizzare un albero radicato è confrontare i membri dell'albero con un membro esterno (in inglese outgroup). Questo deve essere sufficientemente simile agli elementi interni dati da permettere il confronto tra le sequenze geniche, ma deve anche essere allo stesso tempo meno imparentato ad essi di quanto questi stessi non lo siano tra di loro.
Sia gli alberi radicati che quelli non radicati possono essere sia biforcati che multiforcati:

  • un albero biforcato possiede al massimo due ramificazioni che dipartono da ogni nodo

  • un albero multiforcato, invece, ne possiede più di due
gli alberi filogenetici, infine, possono essere sia etichettati che non etichettati

  • un albero etichettato mostra valori specifici assegnati agli elementi che si trovano alle estremità terminali di ciascuna ramificazione

  • un albero non etichettato invece non mostra questi valori e dunque non fornisce indicazioni aggiuntive oltre a quelle relative allo spazio topologico tra i membri di ciascuna ramificazione.
Il numero di alberi che è possibile ottenere partendo da un numero dato di elementi posti ai nodi terminali dipende dal tipo di albero; è sempre comunque possibile ottenere più alberi multiforcati che biforcati, più alberi etichettati che non etichettati, e più alberi radicati che alberi non radicati. Quest'ultima osservazione è quella biologicamente più rilevante, ed è una conseguenza del fatto che, in un albero non radicato esistono molti posti in cui è possibile identificare una radice, ovvero una specie o un gene che può essere definito come un progenitore comune di quelli posti sulle diverse ramificazioni.
Limiti degli alberi filogenetici: Sebbene gli alberi filogenetici, costituiti sulla base di dati provenienti da analisi genomiche costituiscano un importante strumento agli studi sull'evoluzione e, soprattutto, sulla filogenetica, essi hanno comunque dei limiti. Gli alberi filogenetici, non rappresentano necessariamente l'esatta storia evoluzionistica di un gene, o di un dato organismo, ed in effetti nella maggior parte dei casi non lo fanno. I dati sui cui essi si basano sono infatti spesso disturbati da diversi fattori: il trasferimento genico orizzontale, l'ibridizzazione tra specie diverse situate a grande distanza sull'albero prima che l'ibirdizzazione stessa avvenisse, l'evoluzione convergente e la conservazione delle sequenze geniche sono elementi di disturbo che possono facilmente confondere le analisi basate su principi filogenetici.
Questo PDF tratta il tema "alberi filogenetici": alberi filogenetici.
La costruzione di un albero filogenetico porta a chiedersi cosa sia la filogenesi.
La filogenesi La Filogenesi o filogenetica o filogenia, (dal greco philos φυλή ("classe", "specie") e genesis Γένεσις ("nascita", "creazione", "origine"), è il processo di ramificazione delle linee di discendenza nell'evoluzione della vita. La sua ricostruzione è fondamentale per la sistematica che si occupa di ricostruire le relazioni di parentela evolutiva, di gruppi tassonomici di organismi a qualunque livello sistematico.
La filogenetica studia l'origine e l'evoluzione di un insieme di organismi, solitamente di una specie. Un compito essenziale della sistematica è di determinare le relazioni ancestrali fra specie note (vive ed estinte).
Come accennato, il primo albero della vita fu proposto da Ernst Haeckel, 1866, come frutto della teoria definita della ricapitolazione, così espressa nelle parole di Haeckel:
« "Tutte e due le serie dell'evoluzione organica, l'ontogenesi dell'individuo e la filogenesi della stirpe a cui esso appartiene, stanno fra loro nel più intimo rapporto causale. La storia del germe è un riassunto della storia della stirpe, o, con altre parole, l'ontogenesi è una ricapitolazione della filogenesi." »
Questa teoria è sintetizzata nell'assioma "la Ontogenesi ricapitola la Filogenesi".
La versione originale di questa ipotesi è stata rigettata come essendo troppo semplificata e fuorviante. Comunque la biologia moderna riconosce molteplici connessioni fra ontogenia e filogenia e le spiega attraverso la teoria dell'evoluzione e le considera come argomenti in suo favore.
Il diagramma che mostra i rapporti filogenetici tra specie o gruppi superiori si chiama albero filogenetico.
Le due metodologie più comunemente adoperate per ricostruire un albero filogenetico sono la fenetica e la cladistica.

  • Fenetica: La fenetica poggia sul postulato di base che il grado di somiglianza tra due taxon sia correlato al grado di parentela. In biologia la fenetica, talvolta indicata come tassonomia numerica, è una tecnica la cui finalità è la classificazione degli organismi sulla base della somiglianza, spesso nella morfologia o in altre caratteristiche osservabili, senza tener conto della filogenia o della relazione evolutiva. Nella ricerca dei rapporti evolutivi fra le specie, la fenetica è stata in gran parte sostituita dalla cladistica. Tuttavia, alcuni biologi continuano ad usare determinati metodi fenetici come approssimazione ragionevole della filogenia quando i metodi cladistici risultano informaticamente troppo costosi.

  • Cladistica: La cladistica (dal greco κλάδος, klados, ramo) ricostruisce la filogenia classificando gli organismi viventi in base a criteri evolutivi. Il padre fondatore di questa disciplina fu l'entomologo tedesco Willi Hennig, che la battezzò sistematica filogenetica. Una analisi cladistica si può basare su un'ampia varietà di dati, incluse le analisi di sequenza del DNA (cosiddetti "dati molecolari"), dati biochimici e dati morfologici. Linee filetiche discendenti dallo stesso ramo si dicono gruppi monofiletici. Se tale gruppo non comprende tutti i discendenti del progenitore ancestrale verrà detto parafiletico. Uno dei criteri utilizzati nelle analisi cladistiche è quello della massima parsimonia.
Approccio congiunto fenetico-cladistico: I sostenitori delle due metodologie hanno dato vita a dispute anche molto accese in cui l'approccio fenetico e quello cladistico si sono a lungo contrapposti. Al giorno d'oggi fenetica e cladistica sono utilizzate come metodiche indipendenti ma che possono integrarsi a vicenda. La filogenesi molecolare ha grandissima importanza non solo a livello microrganismico, ma anche negli animali superiori, basti pensare al grandissimo utilizzo dei marcatori come l'rRNA mitocondriale oppure i geni codificanti la tubulina nel determinare rapporti a moltissimi livelli tassonomici.
Tree of Life web proyect è un ottimo sito in cui cercare materiale per costruire un albero della vita e da cui otteniamo questa massima di Darwin:
"The affinities of all the beings of the same class have sometimes been represented by a great tree... As buds give rise by growth to fresh buds, and these if vigorous, branch out and overtop on all sides many a feebler branch, so by generation I believe it has been with the great Tree of Life, which fills with its dead and broken branches the crust of the earth, and covers the surface with its ever branching and beautiful ramifications." (Charles Darwin, 1859)
Ultimo antenato comune universale.
Quella dell' Ultimo Antenato Comune Universale, in inglese Last Universal Common Ancestor (LUCA) o anche last universal ancestor (LUA), è una teoria riguardante l'ultimo ipotetico organismo vivente dal quale tutti gli organismi attuali discenderebbero. In quanto tale, l'organismo in questione rappresenterebbe l'antenato comune più recente (MRCA) di tutto l'insieme degli attuali organismi viventi. Si stima sia vissuto tra 3,6-4,1 miliardi di anni fa. Così come è il progenitore comune più recente di tutto l'insieme degli esseri viventi attuali, probabilmente lo è anche di tutti quelli conosciuti come fossili, sebbene non si può scartare teoricamente il fatto che si possano identificare resti di altri esseri viventi della sua stessa o maggiore arcaicità.
La foto Esempio di albero filogenetico mostra una tipica costruzione di un albero evolutivo moderno, un cladogranma, che collega tutti i gruppi importanti di organismi viventi al LUA o LUCA (il tronco - segmento - nero nella parte inferiore). Questo grafico è derivato dalla sequenza del RNA ribosomico.
Un cladogramma che collega ttutti i gruppi importanti di organismi viventi al LUA o LUCA- il tronco nero nel centro. - Questo grafico è derivato da una sequenza di dati completa del genoma.
A phylogenetic tree of life, showing the relationship between species whose genomes have been mapped by humans. The very center represents the last universal ancestor of all life on earth. The different colors represent the three domains of life: pink represents eukaryota (animals and plants); blue represents bacteria; and green represents archaea. Note the presence of Homo sapiens (humans) second from the rightmost edge of the pink segment. The light and dark bands along the edge correspond to clades: the rightmost light red band is en:Metazoa, with dark red en:Ascomycota to its left, and light blue en:Firmicutes to its right. (da iTOL: Interactive Tree Of Life).
(trad: L'albero filogenetico della vita, che mostra la relazione tra le specie i cui genomi sono stati mappati da esseri umani. Il centro rappresenta l'ultimo antenato universale di tutta la vita sulla terra. I diversi colori rappresentano i tre domini della vita: rosa rappresenta Eukaryota (animali e piante); blu rappresenta Bacteria; e verde rappresenta Archaea. Si noti la presenza di Homo sapiens (l'uomo) secondo dal bordo più a destra del segmento rosa. Le bande chiare e scure lungo il bordo corrispondono a cladi: la fascia più a destra rossa chiara è Metazoi, con rosso scuro Ascomycota alla sua sinistra, e di colore azzurro Firmicutes alla sua destra).
Quando venne concepita la teoria LUCA, la costruzione dei cladogrammi basata sulla distanza genetica di tutte le cellule viventi indicò che ci fu una separazione iniziale tra gli Archea e il resto delle forme viventi. Ciò si ricavò dal fatto che, in quegli anni, tutti gli Archea conosciuti erano altamente resistenti a condizioni ambientali estreme quali l'elevata salinità, temperatura o acidità, portando alcuni scienziati a sostenere che l'ultimo antenato comune universale si sviluppò in aree quali quelle in corrispondenza dei black smokers dei fondali oceanici, dove ancora oggi prevalgono tali condizioni estreme. Però gli Archea sono stati scoperti anche in ambienti meno ostili e adesso molti biologi li ritengono maggiormente correlati agli Eukaryota piuttosto che ai Bacteria, sebbene ciò sia ancora materia di dibattito. È possibile che tutti i contemporanei dei LUCA si siano estinti e che sia sopravvissuta attualmente solamente la loro eredità genetica. Questa ipotesi ignora però la possibilità del trasferimento genico orizzontale. Carl Woese sostenne che in realtà non esistette alcun organismo individuale che possa essere considerato un LUCA, ma piuttosto l'eredità genetica di tutti i moderni organismi deriverebbe da una comunità di organismi antenati.
Ovviamente LUA o LUCA non significa che:
1.che è il primo organismo vivente esistito;
2.che è l'organismo attuale più prossimo per le sue caratteristiche all'antenato comune;
3.che in principio esisteva soltanto questo organismo.
Se facciamo un passo in dietro, ho già riferito che Darwin disegnado il suo "albero della vita" ci regala un piccolo gioiello di modernità in un ambiente vittoriano e ottocentesco. A margine di uno dei quaderni di Charles Darwin vi è un disegno di un piccolo ramoscello che rappresenta un enorme passo intellettuale, una pietra miliare nella storia umana. E 'il primo schizzo moderna di un albero della vita, che rappresenta il fatto che le specie distinte aveva antenati comuni. Per un secolo, naturalisti aveva raccolto dati su specie, dar loro un nome e raggruppamento secondo le loro somiglianze. Darwin ha improvvisamente capito che le somiglianze rappresentate relazioni familiari.
Due decenni più tardi, un altro albero è stato meticolosamente composto da Ernst Haeckel, il grande naturalista e embriologo tedesco e ammiratore fanatico di Darwin. Il grafico di Haeckel tenta di sintetizzare il regno vegetale e animale in un singolo record genealogico della vita sulla Terra, e dimostra un formidabile intuito dell'autore, ma la sua rappresentazione grafica risale solo alla divergenza piante e animali. In pratica si blocca dinanzi al mondo unicellulare.
Gli scienziati del tempo di Haeckel avevano solo cominciando a intravedere la straordinaria varietà di tali specie in vita sulla Terra; certamente non conosciuta a sufficienza per fare una filogenesi convincenti che risalisse a prima della divergenza di piante e animali.
Haeckel’s tree of life from The Evolution of Man (1879).
Da allora, gli scienziati hanno riempito di rami e rametti l'albero della vita, si sono arrampicati lungo il suo tronco, e spinto in profondità fino alle radici, sulla base del "diario" dell'evoluzione che è conservata nel DNA. Eppure, le domande rimangono, soprattutto per quanto riguarda la storia iniziale della vita sulla Terra. Il gruppo di Peer Bork presso l'European Molecular Biology Laboratory di Heidelberg, in Germania, ha finalmente terminato l'albero evolutivo a più alta risoluzione mai costruito. Esso non può mai essere definitivo, perchè milioni di specie devono essere sicuramente ancora trovate e quelle che conosciamo, continuernno a evolversi, ma sono state riempite molte delle lacune, e queste specie aiuteranno gli scienziati a trovare i frammentari indizi dell'esistenza di nuovi organismi. Essa getta luce anche sulla storia molto precoce della vita sulla Terra.
Il gruppo di ricerca Peer Bork ha in pratica meticolosamente ricostruito un nuovo albero della vita che ci permetterà di tracciare il corso dell'evoluzione.
All'inizio della storia della Terra, esisteva un organismo che potrebbe dar luogo a tutte le specie conosciute oggi. Nel 1994, Ouzounis Christos e Nikos Kyrpides ha dato questa creatura nell'ombra un nome: LUCA (l'Ultimo Antenato Comune Universale).
Studi di sequenze di DNA prelevati da piante, funghi, animali, batteri, e un'altra forma di organismi unicellulari chiamati Archaea dimostrato che deve essere esistito, ma fino a poco tempo fa, gli scienziati hanno potuto dire molto poco su di esso.
Peer Bork dice:
"Due cose sono cambiate, in primo luogo è la quantità immensa di informazioni che abbiamo ottenuto dal sequenziamento del DNA - oltre 350 gli organismi sono stati completamente sequenziati, diffusi attraverso l'intero spettro della vita. Questo ci dà una quantità enorme di dati che pussono essere studiati e che possono costruire un buon albero della vita, ma anche di rispondere ad alcune domande su LUCA. Alcuni geni chiave si possono trovare in tutti loro, la "scrittura chimica" di questi geni ci permette di raggrupparli in famiglie e di descrivere le loro relazioni storiche".
Consente inoltre ai ricercatori di ricostruire antenati ipotetici. Un principio fondamentale di evoluzione, chiamato il principio della discendenza comune, afferma che se due organismi hanno caratteristiche comuni, è quasi sempre perché hanno ereditato le caratteristiche da un antenato comune. Quindi, confrontando le specie esistenti, gli scienziati possono ottenere un quadro delle più antiche forme di vita.
Peer Bork continua:
"Nel corso di pochi decenni, gli scienziati si sono resi conto c'è una importante eccezione a questa regola. I batteri possono scambiarsi geni gli uni con gli altri, e talvolta possono persino rubare un gene da una pianta o un animale. Una volta che questo è avvenuto, passano i geni sequestrati ai propri discendenti. Tali geni hanno un profilo completamente diverso da geni ereditati nel modo normale. E' come trovare un ramo di un albero che cresce di traverso e si fonde in un altro ramo di un albero diverso".
Peer ha dichiarato che sono stati fatti vari tentativi per trovare questi geni e per la loro eliminazione, durante la costruzione dall'albero della vita, partendo da dati di sequenziazione del DNA. Ma nessuno sapeva come spesso tali eventi, chiamata trasferimento genico orizzontale (HGT), avvenivano e tantomeno avevano sviluppato un metodo convincente per trovarli:
"Per un pò era quasi come se la quantità di dati aumentasse il problema anziché risolverlo, ci sono stati grandi dibattiti, e il numero di classificazioni sono state in forte crescita, piuttosto che raggiungere un consenso. Parte del problema sta nel fatto che il lavoro poteva essere fatto solo da computer in un modo altamente automatizzati, a causa della quantità incredibile di dati genici che dovevano essere passato al setaccio".
Francesca Ciccarelli, un postdoc nel gruppo di Peer, ha deciso di affrontare il problema del nuovo albero della e trovare una soluzione al problema della HGTS. Ha iniziato a studiare i genomi completi di 191 specie per l'ortologenesi unica - geni in specie diverse che si erano evoluti da un gene ancestrale comune. Il compito era difficile perché non poteva essere completamente automatizzato. Francesca trovato 36 casi, cinque dei quali sembravano essere stati ottenuti attraverso HGTS e sono stati quindi scartati.
Eliminare tali geni dalle analisi, gli scienziati possono ora costruire un albero completo combinando le informazioni a partire dai 31 geni. Peer era preoccupato che alcuni HGTS potessero essere ancora presenti, perchè un solo errore potrebbe rovinare la qualità della struttura. Così Peer e il suo gruppo si sono messi di nuovo a lavoro utilizzando l'analisi compiuteristica. I 31 geni sono stati divisi a caso in quattro gruppi. Gli alberi furono sistematicamente elaborati più e più volte, per tutti i geni in ogni gruppo, con l'eccezione di un singolo gene, che è stata eliminata in ogni round. Poi i risultati sono stati confrontati, avendo cura di analizzare tutti i rami che risultavano differire, ipotizzando un coinvolgimento HGT era suscettibile di essere coinvolti, e il gene è stato sottoposto a due test più. Alla fine, gli scienziati hanno trovato sette candidati in più per HGTS, che hanno eliminato dalla loro analisi.
Le rimanenti informazioni sono state combinate in un super-albero che è stato confrontato ancora una volta con alberi costruiti sulla base di singoli geni in tre modi diversi. Peer Bork ammette:
"Ogni uno di questi metodi in sé potrebbe avere lasciato un albero con alcuni errori, ma la combinazione di risultati ottenuti con questi metodi, ci rende sicuri che abbiamo ricostruito un quadro molto preciso della storia evolutiva di queste molecole e della specie di appartenenza".
I risultati permettono di chiarire alcune vecchie controversie, per esempio il dibattito circa l'evoluzione molto precoce di alcuni animali. L'analisi di alcuni alberi evolutivi in passato aveva proposto che i vertebrati (che includono anche l'uomo) si sarebbero separata da un altro ramo, che sarebbe rimasta unita per un pò prima di dividersi nei distinti rami leader di vermi e insetti. La nuova versione dell'albero evolutivo racconta una storia diversa dei tre gruppi: gli antenati dei vertebrati e degli insetti costituivano un gruppo unico, scorporati dai vermi, per poi divergere tra loro in seguito.
Il nuovo albero della vita comprende tutti i tre domini della vita: Archaea, Batteri e Eukaryota. Ci sono tante specie che l'albero deve essere redatto in un cerchio.
La risoluzione più alta dell'albero è molto importante, perché gli studi di metagenomica che sono in corso per mettere in sequenza tutti i geni si trovano in ambienti come il suolo delle fattorie o l'acqua dell'oceano. Il suo gruppo ha partecipato a diversi progetti di questo tipo:
"La maggior parte degli approcci di sequenziamento cominciaeno con il recupero di un dato organismo e il lavoro sul suo intero genoma in modo sistematico. Il sequenziamento metagenomico è un sistema di posizionamento globale coordinata e in molti casi permette di recuperare le tracce frammentarie di migliaia di geni, senza conoscere l'organismo da cui provengono. Spesso queste molecole rappresentano creature che non sono mai state studiate prima. L'ampiezza e il dettaglio del nuovo albero permetterà agli scienziati di fare ipotesi molto più corrette sull'ampiezza di questi frammenti e i tipi di esseri viventi a cui appartengono".
Il mondo vivente è abbastanza diviso in rami principali, branche e ramoscelli, perciò non dobbiamo l'importanza del nostro lignaggio. Uno sguardo da vicino al nuovo albero mostra che quest'ultimo sembra essere il caso. Gli eucarioti, che comprendono lieviti, piante e animali come noi, sono così visibilmente diversi tra loro che gli scienziati li spostano da una parte all'altra dell'albero della vita l'uno dall'altro. Parlando genericamente, le specie sono spesso molto più strettamente correlati di molte forme di vita monocellulari. Perr afferma che:
"I piccoli genomi evolvono geneticamente più velocemente. Non vi è un unico organismo che è stato sequenziato che sia in rapida evoluzione e abbia un genoma di grandi dimensioni. L'evoluzione non è sempre l'acquisizione di complessità ".
Lo studio fornisce agli scienziati uno sguardo più da vicino a LUCA. Una questione molto grande è stata quella che i primi batteri simili a quelle forme che si separarono dagli Archaea. I batteri sono raggruppati in due classi, chiamati Gram-positivi e Gram-negativi, sulla base di caratteristiche delle loro membrane. Il nuovo albero rivela che i batteri Gram-positivi si sono evoluti per primi. E se si guarda al loro repertorio di geni, che sembrano essere adatti a un ambiente molto caldo. I primo Archaea sono stati scoperti in nelle sorgenti termali delle profondità oceaniche e la maggior parte delle specie vive oggi sono termofili. Ciò suggerì fortemente che LUCA doveva essere simile a queste forme di Archea "termofili", ma la scoperta di nuove specie di Archea in condizioni diverse dalla termofilia, ha riacceso il dibattito sul concetto reale di LUCA o LUA, così quello messo in evidenza da Peer Bork e il suo gruppo potrebbe non rappresentare un organismo vivente vero e proprio, ma il significato reale dell'Ultimo Antenato Comune Universale potrebbe essere visto come l'eredità genetica ancestrale di tutti i moderni organismi derivata da una comunità di organismi antenati.
Come l’albero genealogico, anche l’albero della vita rappresenta una serie di relazioni, ma anziché occuparsi di fratelli, sorelle e cugini, fornisce informazioni sull’evoluzione delle specie. Al centro del cerchio hanno origine le specie ancestrali. Le linee filogenetiche procedono verso l’esterno man mano che i discendenti evolvono, dando vita ad altre specie, fino agli organismi moderni nella parte esterna del cerchio.
Un albero completo dovrebbe comprendere tutte le specie attualmente esistenti, ma è chiaro che si tratta di un’opera in continua evoluzione. Per la maggior parte, gli “alberi della vita” sono costruzioni parziali che abbracciano un numero limitato di organismi dotati di un legame genetico con le specie viventi. Niente a che vedere, quindi, con il sistema di analogie e differenze utilizzato dalla classificazione tradizionale.
David Hillis, docente di scienze naturali all’Università del Texas (USA), - in realtà tre docenti dell'università del Texas, David M. Hillis, Derrick Zwickl e Robin Gutell - ha costruito la rappresentazione esposta qui sotto a: "Massive Change: The Future of Global Design" (che per primo ha aperto alla mostra Vancouver Art Gallery, durante la Settimana Verde e da allora è apparso in Toronto e Chicago, e dovrebbe essere visualizzato in diverse sedi in tutto il mondo), che include 3.000 specie (siamo ancora ben lontani, quindi, dai 9 milioni di specie che si stima popolino oggi il pianeta).
La sua passione per la ricostruzione di alberi filogenetici risale a ben 25 anni fa. Questo albero è stato utilizzato in molte esposizioni di musei e di altri reperti di istruzione, e la sua utilizzazione a fini didattici è accolto favorevolmente.
“Volevo realizzare un albero che rappresentasse i legami esistenti fra le varie specie, in modo da abbracciare tutta la diversità della vita", confida Hillis. “Man mano che le dimensioni della banca dati dei geni di RNA ribosomiale (responsabili della sintesi proteica) aumentavano, il progetto prendeva consistenza”.
“I geni di RNA ribosomiale si trovano in ogni essere vivente”, ha spiegato Hillis ai giornalisti. “Evolvendo rapidamente, ci permettono di fare un raffronto tra tutti gli organismi viventi, dai semplici batteri ai vertebrati complessi, come noi”.
Gli alberi filogenetici classici suggeriscono che alcuni gruppi di specie siano più primitivi di altri. In questo albero della vita, invece, tutte le specie esistenti sono equidistanti dal comune antenato, posizionato al centro. Un verme e un essere umano, infatti, si sono differenziati l'uno dall'altro durante lo stesso lasso di tempo, ed entrambi hanno subito profondi mutamenti: è pertanto impensabile creare una “classifica” delle specie viventi, dalle più primitive alle più sviluppate, sostiene Hillis.
The Tree of Life by Hillis.
Gli alberi filogenetici vengono impiegati per fare raffronti e previsioni tra le specie in ogni ambito della biologia, dall'individuazione e dalla comprensione dell’origine dei nuovi patogeni umani alla determinazione di come potrebbero essere ripartiti tra le specie farmaci o altri composti utili.

"Il progetto 'Tree of life' (appunto, ‘Albero della vita’) è diventato indispensabile per lo sviluppo di metodi automatizzati di identificazione delle specie”, afferma Hillis. Un organismo inserito in quest’albero acquisisce immediatamente un’identità o si rivela come nuova specie. “Ci dice, in sostanza, come è legato alle altre specie a noi note", spiega Hillis.
L'albero ci mostra come le forme di vita sulla Terra siano diverse e allo stesso tempo strettamente vincolate. Hillis è certo che costruire un albero completo che comprenda tutte le specie conosciute non sia un'impresa impossibile.
“La maggior parte delle specie è già inserita nell’albero a qualche livello, sebbene non ne abbiamo ancora un’immagine chiara a livello di specie. La rappresentazione è in continua evoluzione, ma ritengo che nei prossimi vent’anni saremo in grado di realizzare un albero che rappresenti in modo esaustivo la vita a livello delle specie”, prevede Hillis.
Per maggiori informazioni:
Sito Web del progetto “Tree of life”;
Tree of Life (numero speciale di Science magazine).

The Tree of Life da Science (In this online version of the diagram from Science's Tree of Life Special Issue, we've included links to a variety of resources to add context to the tree's graphical representation. Clicking on the labeled branch points (e.g., "Eukarya," "Metazoa") will pop up a brief summary of the characteristics of the branch. The taxa in the central column, meanwhile (e.g., "spirochaetes," "scorpions," etc.), are linked to Internet sites and Web pages with additional information on those taxa. (For more on how the tree was constructed, see Elizabeth Pennisi's summary, Drafting a Tree). Science 13 June 2003:
Vol. 300. no. 5626, p. 1691

A questo punto torno al tilo introduttivo di questo post "I have landed: io sono qui sull'albero della vita"; Vi siete mai chiesti quante specie esistano sulla terra oltre all’Homo sapiens? Non siamo esattamente soli… Si stimano probabilmente 9 milioni di specie o forse più, alcune ancora da individuare.
Dov’è quindi l’uomo?
Guardando attentamente in alto nella figura Tree of Life by Hillis, vicino alla scritta “Animals” c’è una scritta più piccola che cita “You Are Here”, che indica la specie Homo sapiens.
Se non riuscite ad ingrandire abbastanza l’immagine, scaricate il PDF dell’albero della vita che è ingrandibile molto di più e può essere usato per stampare lo schema anche in grosse dimensioni (es. poster da un metro e mezzo), cercate Homo sapiens ("You Are Here") e buon viaggio a ritroso alla ricerca della radice della vita.
Mi piacerebbe e piacerebbe anche a Gould se la traduzione di I have landed venisse interpretata come l'inizio di una nuova storia, quella che vede l'uomo un tassello del mosaico della vita e non più la specie prediletta di un creatore universale, ma solo un ramo, solo una storia tra le tante storie della vita, un nuovo inizio per una nuova storia alla luce della teoria dell'evoluzione, il cui studio fu intrapreso più di 150 anni fa da un giovane naturalista inglese con la sua idea della vita, come rottura degli schemi mentali dei pensatori precedenti.
Una rottura di quel continuum e l'inizio di un nuovo modo di leggere la storia della vita sulla Terra.
Lunga vita Mr. Darwin, lunga vita e prosperità alla tua teoria mai tramontata, ma sempre più viva e piena di nuove idee.
In conclusione un omaggio a Gould: L'evoluzione della vita sulla Terra.
Documento scritto da Stephen Jay Gould
tratto da "Le Scienze" n. 316, dicembre 1994.

Parte 2: perchè siamo sull'albero della vita.

I biologi moderni, rifacendosi appunto alle teorie darwiniane, considerano la natura gerarchica dei sistemi viventi come conseguenza di un ordine che si basa su parentele comuni ed affinità evolutive tra le diverse specie. In tutti gli schemi, comunque, l'unità fondamentale dei sistemi viventi è la specie: per gli evoluzionisti moderni rappresenta l'unità sulla quale opererebbe la selezione naturale. Il concetto di specie è quindi alla base della classificazione degli organismi viventi, trattandosi del livello tassonomico obbligatorio gerarchicamente più basso, ma la scelta di un criterio univoco ed universale per identificare le specie è però difficile (tuttavia si può ovviare alle difficoltà quando si considera attualmente la specie come l'unità tassonomica fondamentale).

Raccogliendo l'eredità di Darwin, la biologia evoluzionistica si è trovata ad affrontare e a cercare di dar conto dell'esistenza di  fenomeni potenzialmente contraddittori connessi con la problematica  dell'origine della specie: le forme viventi sono separate in unità discrete, le specie, che si sono però originate attraverso un  processo, quello evolutivo, senza soluzione di continuità. A causa di questo problema apparentemente irrisolvibile, Darwin tesso rinunciò a fornire una definizione di specie che le riconoscesse lo status di entità reale, preferendo una definizione puramente convenzionale (arbitrarietà del concetto di specie), dove la specie è solo una categoria, che raggruppa un certo numero di individui che si assomigliano tra loro, un insieme di varietà permanenti nel tempo, che poi sfumano l'una nell'altra attraverso un progresso lento e graduale.
Sulla sostanziale arbitrarietà di un qualsiasi tipo di classificazione è chiara la posizione di Darwin:

« [...] io considero il termine specie come una definizione arbitraria che, per motivi di convenienza, serve a designare un gruppo di individui strettamente simili tra di loro, per cui la specie non differisce granché dalla varietà, intendendosi con questo termine le forme meno distinte e più fluttuanti. Inoltre, anche il termine di varietà viene applicato arbitrariamente per pura praticità nei confronti delle semplici variazioni individuali».
(L'origine delle specie, cap.2 "La variazione in natura")

L'Origine della Specie (ed italiana).
Buona parte dei problemi connessi con la definizione di specie riguardano il fatto che non è stato per lungo tempo possibile definire chiaramente il processo di speciazione, ovvero capire i meccanismi evolutivi tramite i quali le specie si originano. La grande difficoltà di definire che cos'è la specie deriva infatti anche da una lettura del processo evolutivo in cui per decenni l'opzione gradualistica (gradualismo filetico o ipotesi gradualistica) è stata prioritaria. Secondo Niles Eldredge e Stephen Jay Gould questa visione fortemente verticale del cambiamento evolutivo ha determinato che i grandi  scenari narrati dalla paleontologia fossero lasciati sullo sfondo e che venisse negata la realtà ontologica della specie. Anche se Darwin aveva già evidenziato l'isolamento nei processi speciativi, fu Ernst Mayr a notare che speciazione, cambiamento dei ritmi evolutivi e fattori genetici erano tutti fattori necessari e strettamente collegati fra loro e fu in grado di formulare una nuova e rivoluzionaria teoria della speciazione. Alla nuova visione della speciazione di Ernst Mayr, Gould e Eldredge proposero un nuovo modo di spiegare l'origine della specie, introdussero cioè un modello di macroevoluzione da affiancare all'ipotesi gradualistica, la teoria degli equilibri punteggiati.
Nella prospettiva di una teoria più estesa sulla macroevoluzione, le dinamiche che conducono alle speciazioni ed alle estinzioni assumono una loro autonomia e non sono riconducibili alle variazioni genetiche graduali su piccola scala (microevoluzione), perché fattori genetici verticali e fattori ecologici e geografici orizzontali s’integrano indissolutivamente.
Ma, che cos'è la specie?
"Species tot sunt diversae, quot diversas formas ab initio creavit infinitum Ens". (Linneo, Systema Naturae)
Definire che cosa sia una specie è questione massimamente complicata, e affascinante, che va subito a toccare problemi di biologia o di teoria dell’evoluzione. Per cominciare potremmo dire che l'esempio più semplice di una descrizione tassonomica è un qualsiasi oggetto. Alla domanda che cosa sia un oggetto l'ovvvia risposta abbraccia due caratteri: la funzione di un oggetto (funzionalista) e le "caratteristiche tipologiche" dell'oggetto (essenzialista). Ovvaimente un organismo vivente non può essere descritto in base alla funzione, perciò dobbiamo attenerci ad una descrizione delle caratteristiche morfologiche macroscopiche che lo contraddistinguono e che riusciamo a percepire osservando l'organismo vivente oggetto della nostra descrizione (questo fu il metodo utilizzato ad esempio da Linneo per realizzare la sua opera Systema Naturae).
Pagina del Systema Naturae (sesta edizione 1748) inerente il raggruppamento Quadrupedia, tra cui l'Homo (....e da cui si può leggere "Homo. Nosce te ipsum").
Per quanto numerose siano le caratteristiche specifiche delle singole specie, non solo nessuna di queste è sufficiente a distinguerle da tutte le altre specie, ma neanche la loro somma è sufficiente a descrivere esaurientemente che cos’è una specie. E, soprattutto, tutte queste caratteristiche sembrano in qualche modo restare esteriori alla «specitudine», a ciò che fa di una specie proprio quella specie anziché -per ipotesi- un'altra. La definizione essenzialista descrive la specie ma non riesce a definirla.
L'importanza della definizione di specie risiede nel fatto che la specie è l’entità fondamentale della classificazione degli esseri viventi; usando la specie come livello base della classificazione è possibile costruirvi sopra tutta la gerarchia linneiana. Sono le specie, in ultima analisi, a fondare i generi, i regni e tutti i livelli gerarchici intermedi. In apparenza, sembra quindi indispensabile per la scientificità stessa della biologia che la definizione di specie sia quanto più precisa e univoca possibile; ma questo non è il caso. La domanda su “che cos’è una specie” ha ricevuto nel tempo diverse risposte, nessuna delle quali pare sufficiente a risolvere la questione. E tuttavia, nonostante l’oggetto fondamentale della biologia evoluzionista sia a tutt’oggi solo provvisoriamente definito, ciò non sembra causare grandi problemi nella pratica quotidiana delle diverse sottodiscipline, né la questione sospesa della specie rallenta in alcun modo i lavori. Per capire come mai occorre innanzi tutto distinguere definizione e classificazione.
la classificazione delle specie non dipende necessariamente dalla loro definizione, anzi perfino ipotizzabile che una definizione troppo rigida possa finire, in alcuni settori, per ostacolare la ricerca di base. Semmai, una definizione univoca di specie sembra diventare indispensabile da un certo livello di complessità di analisi in poi, quando, cioè, dalla ricerca applicata si passa alla riflessione sui fondamenti concettuali della biologia. Fra i biologi evoluzionisti, naturalmente, l’indagine continua, e ha portato recentemente verso aree scientifiche del massimo interesse.
Dal punto di vista epistemologico, ad esempio, è reputato poco conveniente che la tassonomia (la scienza della classificazione delle specie) non condivida con la teoria dell’evoluzione (la scienza della storia delle specie) una medesima definizione di specie, dal momento che entrambe si occupano dello stesso “oggetto del mondo”, le specie viventi, appunto.
Ora, come già detto, a rigore nulla vieta che un medesimo oggetto sia analizzato da scienze diverse in modi assai diversi: ma in tutti questi casi ciascuna disciplina dà, della matita oggetto di studio, una propria autonoma definizione, nel caso delle specie viventi, invece, il problema è che nessuna disciplina sembra in grado di dare una definizione esauriente (una specie è una specie perchè è una specie).
L’idea che esistano in natura specie animali diverse può forse essere inscritta nei meccanismi di base della percezione umana. L’esperienza comune, inclusa la percezione di noi stessi, porta a credere che ci siano in natura gruppi di entità diverse, i cui membri sono accomunati da un insieme di caratteristiche (non importa se morfologiche, comportamentali o quant’altro). Le specie, insomma, sembrano essere “oggetti semplici” del mondo e parte almeno della loro classificazione pare discendere direttamente dalle nostre sensazioni riguardo al mondo naturale.
Dall’altro lato, però, quando si vuole fare scienza in modo rigoroso si devono definire gli oggetti di studio in modo quanto più preciso e formale possibile e cioè, a ben vedere, ricorrendo il meno possibile all’esperienza comune. Così ci si trova, fin dall’inizio, ad affrontare una dicotomia: da una parte la percezione delle specie come entità ontologiche presenti nel mondo; dall’altra la necessità di una definizione molto formale, che, all’estremo, potrebbe suonare così:
“le specie sono i gruppi di più basso livello gerarchico della gerarchia linneiana”.
Proprio a questo punto sorgono ulteriori problemi: definizioni costruttive di specie sono certamente possibili, anche lungo le linee tracciate dalla teoria dell’evoluzione, ma la biologia non è un corpus teorico unitario e inoltre, trattandosi di enti definibili come storici, a seconda del punto di vista da cui si sceglie di studiare il mondo naturale sono possibili definizioni di specie fra loro piuttosto diverse che, sebbene non necessariamente incompatibili, sottolineano però aspetti assai diversi di uno stesso oggetto scientifico. Estrapolando da diversi autori, sembra esserci un totale di sette modi di definire la specie, originanti da approcci diversi sia alla filosofia che alla biologia e ai problemi evolutivi.
  • Definizione Platonica: La prima definizione è quella che potremmo dire “platonica”: gli oggetti del mondo sono copie più o meno imperfette di un modello ideale, così gli individui singolari che compongono una specie non sono che copie, più o meno imperfette, dell’archetipo della specie stessa. Se questo modo d’intendere gli esseri viventi sembra oggi lontanissimo dallo “spirito scientifico”, basti ricordare che, ancora a metà del XIX secolo, e proprio per risolvere il problema ontologico della specie, Agasiz (Jean Louis Rodolphe Agassiz - Môtier, 28 maggio 1807 – Cambridge, 14 dicembre 1873) propose di attribuire a tutti i livelli sovraspecifici della gerarchia classificatoria la medesima realtà ontologica della specie: il genere, le famiglie, i regni dovevano essere considerati come reali in quanto espressione di idee esistenti nella mente di Dio durante la creazione.
  • Definizione Essenzialista (Fenetica): La definizione essenzialista, o fenetica, è stata proposta formalmente per la scienza tassonomica da Sneath e Sokal, ma naturalmente il suo impianto concettuale risale ad Aristotele. Nella versione di Sneath e Sokal la specie è definita come gruppo di organismi sufficientemente simili gli uni agli altri. Per far parte della specie occorre possedere un set minimo di caratteri necessari e sufficienti. E’ una versione moderna, che potrebbe essere detta statistica, della definizione platonica: l’archetipo non è più rappresentato da un esemplare tipico, ma da una tavola di misurazioni normali che, ipoteticamente, “catturano” l’essenza della specie elencandone tutte le caratteristiche. Questa definizione è stata abbandonata anche perché non è in grado di tener conto delle modificazioni concettuali introdotte nella biologia dalla teoria evolutiva di Darwin.
  • Definizione Biologica (Isolazionista): Questa definizione è stata elaborata e adottata dai padri dell’evoluzionismo novecentesco, Dobzhansky (Theodosius Grygorovych Dobzhansky - 24 gennaio 1900 - 18 dicembre 1975) e Ernst Mayr, ed è pertanto diventata anche la definizione standard di specie, riportata da ogni testo di biologia evolutiva. La specie è definita come gruppo di organismi interfertili. Ciò significa che per far parte di una specie occorre essere in grado di riprodursi con altri membri di quella stessa specie; o meglio, che fanno parte di una specie solo gli individui che sono in grado di riprodursi fra loro. Ulteriori precisazioni hanno poi dovuto essere introdotte per escludere dalla conspecificità, ad esempio, asini e cavalli: non basta che l’accoppiamento produca individui viventi, occorre anche che questa generazione figlia sia a sua volta fertile, ciò che non è il caso per i muli e i bardotti. L’interfertilità viene quindi misurata non già sulla prima bensì sulla seconda generazione. L’elemento più interessante di questa definizione è il suo essere esclusivamente biologica: abbandonata ogni forma di essenzialismo, la specie viene identificata solo in base all’isolamento genetico in un contesto non dimensionale. Com’è ovvio, tuttavia, questa definizione non è utilizzabile per le specie a riproduzione non sessuata. Inoltre, la sua forza teorica non si traduce facilmente in termini operativi: è infatti abbastanza improbabile che, per attribuire un individuo a una specie, i tassonomi si basino sulle sue preferenze riproduttive o che abbiano modo di verificare la fertilità della generazione figlia.
Theodosius Grygorovych Dobzhansky

  • Definizione di Riconoscimento: Per risolvere alcuni dei problemi operativi cui la definizione isolazionista va incontro, Paterson ha proposto la definizione detta di riconoscimento: la specie è definita come gruppo di organismi che si riconoscono come partner sessuali. Come la precedente, anche questa definizione è esclusivamente biologica e non può essere applicata alle specie non sessuali.

  • Definizione Ecologica (Coesionale): Proposta da Van Valen e da Templeton, questa proposta è la prima che tiene contro in modo coerente dell’interazione delle specie viventi con l’ambiente circostante. La specie è definita come gruppo di organismi adattati a una particolare nicchia ecologica. Come nei due casi precedenti, si tratta di un concetto esclusivamente biologico, che non può essere applicato alla classificazione di oggetti diversi dalle specie viventi; a differenza delle due precedenti, tuttavia, include le specie a riproduzione non sessuale e sottolinea, nella definizione stessa di specie, la relazione che lega in modo organico organismo e ambiente, aspetto di solito trascurato.

  • Definizione Evolutiva: Le definizioni di specie viste finora, pur nella loro diversità, hanno in comune l’attenzione prevalente per le specie attualmente viventi; detto altrimenti, ciò che le muove è la necessità di attribuire alla specie corretta gli individui che possono presentarsi all’attenzione del tassonomo. La definizione evolutiva proposta da Simpson e da Wiley parte invece da una prospettiva diversa, incentrata sulla specie come entità a se stante anziché sulla specie come gruppo di individui, e propone di individuare le specie in base alla coerenza di una popolazione che, nel tempo, evolve separatamente dalle altre secondo tendenze evolutive specifiche. Evidentemente, si tratta di una definizione assai poco operativa: importante come strumento concettuale per chi si occupa dei fondamenti della biologia evolutiva, essa è invece del tutto impraticabile per il tassonomo nel suo lavoro quotidiano. Per la prima volta, però, l’attenzione viene spostata dalla sincronia (il tempo presente) alla diacronia (la progressione nel tempo), sottintendendo così che il mondo naturale non è solo ciò che si vede oggi ma anche, e soprattutto, ciò che è divenuto nel tempo. Inoltre, essa sottolinea efficacemente gli aspetti più dinamici connessi alla vita filogenetica degli organismi.

  • Definizione Filogenetica o Cladistica: Quest’ultima definizione, proposta da Eldredge e Cracraft una ventina d’anni fa, è forse quella più completa, ed è stata resa possibile proprio dai problemi che, volta per volta, le altre definizioni risolvevano e, a loro volta, sollevavano. La specie è definita come un insieme di individui che mostrano coesione sessuale all’interno del gruppo e che seguono una linea evolutiva precisa. Essa mette in rilievo al contempo la monofilia filogenetica, la coerenza evolutiva nel tempo, e lo status della specie come categoria tassonomicamente irriducibile, e pertanto rappresenta uno strumento concettuale formidabile; ma come già accade alle altre, anche questa definizione risulta di scarsa utilità nella pratica tassonomica.
La specie, l'oggetto di studio dei naturalisti, non sembra ancora godere di uno statuto preciso. Ciò può sembrare una sciagura a chi interpreta la scienza e il suo movimento in termini di classificazione esaustiva del reale e di gabbie concettuali. Ma si tratta d’altro. In primo luogo, un punto che occorre tenere sempre presente quando si parla di evoluzione e di specie viventi è che l’impianto concettuale della biologia evolutiva non può che essere storico.
L’evoluzione delle specie è un evento storico (meglio: ciascuna specie è evoluta secondo una precisa sequenza di contingenze storiche), e come tale soggiace alla casualità e all’alea e non può essere ricostruita secondo una sequenza necessaria. Questo non significa che non sia possibile ricostruire una catena di cause e di effetti ma, in modo più sottile e più radicale, che le cause non sono mai, a loro volta, necessitate.
Chi, in qualsiasi misura, si occupa di eventi storici deve rinunciare una volta per tutte alle spiegazioni necessitanti: le cose vanno come vanno per ragioni cogenti che si possono indagare e chiarire, ma non a seguito di necessità invalicabili che si possano determinare una volta per tutte sotto forma di leggi. Di questa situazione la storia e le discipline umane hanno preso atto già da tempo e hanno elaborato modelli diversi di ricostruzione e di spiegazione, in grado di render conto precisamente dell’impianto indeterminato degli eventi con cui hanno a che fare.
Questa consapevolezza è ancora parzialmente assente dalla biologia che, per molto tempo, ha cercato piuttosto di assimilarsi alle scienze hard. Nondimeno, uno dei contributi teorici più interessanti dell’ultimo mezzo secolo, quello elaborato da Stephen Jay Gould, muove precisamente dall’accettazione dell’evoluzione come fatto contingente. Non per caso Gould è stato in grado di tenere insieme nella sua opera il massimo rigore teorico nell’interpretazione dei dati e un senso inesausto di sorpresa di fronte alle varietà di forme che l’evoluzione a ogni momento produce (e che spesso sembrano aver più a che fare col dispiegamento delle possibilità biologiche lungo linee diverse che con l’adattamento ambientale in senso stretto). L’abbandono della necessità nella scienza non deve essere visto come una debacle ma, in modo scientificamente più accorto, come il dispiegarsi di una, o di molte, possibilità.

Abbiamo visto come non è, tuttavia, agevole dare una definizione di specie che risulti valida ed applicabile in tutti i casi. Esistono a tale proposito due approcci distinti al problema: l'uno considera un "tipo" di riferimento impiegato come termine di confronto per stabilire se un individuo, o più individui, appartengono o meno alla specie rappresentata dal "tipo campione" o "olotipo" (concetto tipologico di specie); l'altro prende in considerazione le possibilità riproduttive tra le diverse popolazioni e gli individui che costituiscono una specie (concetto biologico di specie). Il primo, anche se risulta in molti casi applicabile, risente indubbiamente della staticità del "tipo" di riferimento e risulta evidentemente inadeguato ed inconciliabile con la moderna visione dinamico-evolutiva del mondo vivente.
Inoltre, gli individui che costituiscono una specie o una popolazione, animale o vegetale, differiscono per molti aspetti, potendo presentare nella maggior parte dei casi una serie di variazioni, da una taglia minore ad una maggiore, da un colore chiaro ad uno più scuro, da una particolare morfologia di dati organi ad un'altra, da un peso minimo ad uno massimo, etc.; é, cioè, possibile ordinare tutti i caratteri che contraddistinguono una specie in serie più o meno continue: una serie che riguardi il colore, una le dimensioni, una il peso, e cosi via. Di conseguenza risulta evidente come uno o pochi tipi "campione" non potrebbero, nella maggior parte dei casi, comprendere l'intera variazione della specie e delle popolazioni che la compongono.
Per tutti i motivi su esposti, la concezione tipologica è stata gradualmente sostituita da una visione più rigorosamente biologica, la quale tiene soprattutto conto degli aspetti oggettivi e naturali della specie. Il concetto biologico di specie, infatti, non prende più in considerazione gli individui, bensì considera come unità morfo-funzionale la popolazione, cioè un complesso di individui tra i quali eiste una completa panmissia ed un flusso genico aperto. In tal modo la specie viene definita, non più come un insieme di individui, bensì come un "complesso di popolazioni interfeconde tra loro nel tempo e nello spazio e riproduttivamente isolate da tutte le altre". Una tale definizione evidentemente rispecchia più fedelmente la realtà naturale in quanto tiene conto dell'intera variabilità sia intrapopolazionistica che tra le popolazioni che costituiscono una specie.
Da un punto di vista biogeografico la specie viene definita come:
"un complesso di popolazioni naturali la cui unità deriva dalla sua origine monofiletica. Tale unità si mantiene nei limiti spaziotemporali nel cui ambito le sottounità discrete che in ogni momento lo formano (gli individui) ne mantengono la coesione riproduttivo-genetica interna e l' indipendenza del pool genico, in conseguenza di ciò interagisce in modo unitario con l' ambiente". (da: Zunino & Zullini: Biogeografia. 2004).
Anche il concetto biologico di specie presenta, tuttavia, dei limiti operativi: esso, infatti, non è applicabile ad organismi con riproduzione asessuata (agamica), come la maggior parte dei batteri, molte muffe e numerosi invertebrati (protozoi, poriferi, cnidari, etc.), come pure a organismi a riproduzione partenogenetica obbligata. In questi casi debbono essere necessariamente applicati criteri diagnostici alternativi: morfologici, citologici, genetici, fisiologici, ecologici, etologici, etc. Una ulteriore complicazione potrebbe insorgere, inoltre, per il fatto che negli incroci tra gruppi diversi di individui, in particolare nel regno vegetale, si possono realizzare tutti i possibili gradi intermedi tra la totale fecondità e la assoluta sterilità, per cui soffermandosi all'esame di una sola o di poche generazioni potrebbe in molti casi risultare dubbia la relativa attribuzione specifica. Si deve, inoltre, porre l'accento sul fatto che il mantenimento di una specie non sempre necessita di una barriera assoluta di sterilità nei confronti delle altre; l'importante è che se l'ibridazione avviene, essa non si mantenga per tempi lunghi e non coinvolga tutti i membri della specie.
Una diversa difficoltà sorge, inoltre, dalla considerazione che, mentre un tempo la specie veniva considerata "immutabile" nel tempo, attualmente la si considera giustamente come una entità in continua evoluzione, la quale deriva da un' altra specie e che può, nel tempo, generarne a sua volta altre, secondo un processo che va sotto il nome di speciazione.
Una ulteriore ambiguità potrebbe, tuttavia, insorgere per il fatto che due gruppi di popolazioni per un certo tempo considerate conspecifiche potrebbero gradualmente divergere e, poichè tale processo è appunto graduale, non è sempre possibile individuare il momento esatto in cui i due gruppi costituiscono due differenti specie rispetto al momento precedente in cui ne costituivano una sola.
In definitiva, i biologi tendono oggi a considerare la specie come un "fenomeno diversificato" che può essere caratterizzato, morfologicamente e geneticamente, piuttosto che definito nel suo complesso. Una caratterizzazione è che la specie consiste di popolazioni e di individui tra cui le variazioni si sovrappongono e si intersecano in modo tale che non è sempre possibile delineare una netta demarcazione tra loro. Un'altra caratterizzazione è quella morfologica, che risulta soddisfacente in molti casi, meno soddisfacente o inadeguata in molti altri. Infine, la caratterizzazione più ampiamente usata è che una specie consiste di una o più popolazioni di individui tra i quali esiste una potenziale fertilità ed una continuità genetica (flusso genico aperto). Un'ultima considerazione deve essere proposta per le popolazioni e le specie che non vivono nello stesso periodo di tempo (specie allocroniche): evidentemente non è possibile controllare se una specie vivente oggi avrebbe potuto incrociarsi con un'altra della stessa linea filetica ma vissuta in epoche passate ed attualmente estinta.
La specie è da considerata l'unità più importante della biologia (anche se non va trascurato il gene, la cellula, l'individuo e la popolazione locale) e la sua definizione ha avuto una storia travagliata e fu causa di controversie così forti. Comunque a:
- Theodosius Dobzhansky va il merito di essere stato il primo a sviluppare una concezione gerarchica del concetto di specie, articolato in statica e dinamica; secondo Dobzhansky la diversità deve essere ricercata in cause genetiche.
- Ernst Mayr va il merito di essere stato il primo a rendersi conto della dicotomia che circonda il concetto di specie e a riconoscere la realtà bilogica del concetto di specie, ma una cosa è riconoscere un oggetto, un'altra è definirla e Mayr si è occupato della definizione di specie in termini epistemiologici e, molto più raramente, del riconoscimento della specie nella pratica della ricerca tassonomica.
Concetti e tipologie di speicie (sic!).
In realtà è veramente difficile trovare una definizione di specie che metta d'accordo tutti; probabilmente, come sostiene Ludwig Wittgestein, è impossibile definire la specie se non come l'unione di più concetti.
Quindi possiamo affermare che convenzionalmente (arbitrarietà del concetto di specie, ovvero essendo la specie obbligatoriamente e gerarchicamente il livello tassonomico più basso, ma comunque fondamentale, per la classificazione degli organismi viventi ed essendo la scelta di un criterio univoco ed universale per identificare le specie difficile) possiamo avere le seguenti tipologie e definizioni del concetto di specie:
  • Specie Biologica (Isolazionista):
    "La specie è rappresentata da quegli individui che incrociandosi tra loro generano potenzialmente una prole illimitatamente feconda".
    Oppure:
    "La specie è una comunità riproduttiva di popolazioni (isolata riproduttivamente da altre) che occupa una nicchia specifica in natura". (Mayr)
    È la più diffusa, usata nella zoologia, la biologica si basa sugli esperimenti che provano la discendenza fertile degli incroci. Dalla definizione di Dobzhansky e Mayr, la specie è rappresentata da quegli individui che incrociandosi tra loro generano potenzialmente una prole illimitatamente feconda. Ovviamente, come si amplierà più sotto, il termine, si basa su un modello necessariamente artificiale, e non è valido per tutti i casi di organismi in cui sia assente la riproduzione sessuale. Il concetto di illimitatamente e feconda sono a fondamento della classificazione. È noto a tutti che l'asino e la cavalla generano il mulo, che è sterile. Meno famoso può essere l'esempio di alcune tartarughe, che, accoppiandosi, danno alla luce piccoli in grado di generare fino alla seconda o alla terza generazione, poi quest'ultima si evidenzia infertile. Si scopre così che quelle tartarughe, non dando origine a prole illimitatamente feconda, appartengono a specie diverse. Tuttavia tale definizione, per quanto rigorosa, non è rigidamente applicabile in campo botanico. Molte forme vegetali, pur presentando evidenti diversità, tali da non poter essere considerate della medesima specie, si incrociano originando ibridi illimitatamente fertili. In questi casi codesta definizione tassonomica non è più valida, e si ricorre a diverse classificazioni, basate sulle diversità somatiche e/o filogenetiche. Inoltre questa definizione non è operativa, in molti casi, perché comporterebbe il tentativo di incrociare fra loro tutte le specie compatibili. La definizione di Mayr si basa sulla discendenza fertile degli incroci. Se due individui, che vivono in uno stesso ambiente, si riproducono e la prole a cui danno origine e in grado, a sua volta di riprodursi allora i due individui appartengono ad una stessa specie.
    Ma la definizione di Mayr non è un concetto del tutto esaustivo, infatti:
    - riesce a farci capire il perché all’interno di una specie tutti gli individui siano simili, ma non uguali. Ciò è dovuto a un rimescolamento del pool genico degli organismi, dal quale deriva la variabilità interna di una specie;
    - è anche in grado di spiegare adeguatamente perché esistano tante specie di individui e non un continuum organico. Secondo l’idea di Mayr l’isolamento fa sì che il “genotipo armonico” di una determinata specie sia protetto e la specie sia preservata;
    - è in grado di spiegare perché esistano le specie gemelle. Strettamente legato a questo concetto ce n’è un altro elaborato da Patterson sul riconoscimento del compagno (Specific Mate Recognition System, SMRS - si veda definizione di riconoscimento). Una femmina di una determinata specie sarà incline ad accoppiarsi con un maschio simile a lei perché i suoi organi sensoriali le indicheranno qual è il compagno più probabile. Ciò avviene soprattutto quando in un areale ristretto sono presenti più specie. Però non riesce a spiegare come:
    - si possano definire le specie asessuate e quelle con un ermafroditismo sufficiente. Le specie asessuali formano dei raggruppamenti fenici ben distinguibili, ma non classificabili se non con un continuum di specie. In poche parole una specie “sfumerebbe” nell’altra.
    - si definiscano le specie fossili. Non ci è dato di sapere se si incrociassero e se i loro incroci fossero fertili. Per quanto la paleoecologia possa venirci in soccorso anche dal punto di vista ecologico ci sono non pochi problemi nel riconoscimento delle nicchie di appartenenza.
    Per le specie fossili e per quelle asessuate, il criterio fenico risulta ancora offrire il miglior grado di distinzione fra le specie.
  • Specie Morfologica: La morfologica è la specie basata su caratteri morfologici. Viene generalmente usata per le specie attuali e per quelle fossili. Quando si hanno a disposizione molti esemplari (minimo 50) i caratteri rappresentabili da numeri possono essere indagati con metodi statistici. In passato strettamente connessa al concetto di specie tipologica oggi è sempre più rimpiazzata, perlomeno nelle specie viventi, da studi di ordine molecolare e genetico. È infatti ovvia la difficoltà di applicazione di tale definizione a criptospecie e a specie con una variabilità morfologica molto marcata. Il dimorfismo sessuale unito a variabilità morfologica, ad esempio, possono apparentemente accomunare esteriormente organismi appartenenti a specie totalmente differenti. Tipico è ad esempio il caso di maschi di dimensioni ridotte di alcuni coleotteri che tendono a rassomigliare a femmine di specie differenti.
  • Specie Tipologica:
    La specie è una classe di oggetti i sui membri condividono particolari proprietà.

    Presenta dei limiti, infatti:
    - non tiene conto delle variazioni intraspecifiche, cioè di quelle che possono esserci all’interno di una specie, compreso il dimorfismo sessuale;
    - non si applica a specie che hanno differenti stadi di sviluppo (es.: differenza tra larvale e adulto);
    - non si applica alle specie gemelle;
    - non si applica ai resti separati di piante fossili;
    - non si applica a specie polifeniche.
    È una definizione essenziale per classificare gli organismi in base alla loro morfologia. Si basa sul presupposto che ogni specie ha caratteri propri ed è per questo facilmente ascrivibile ad un gruppo. Prevede la presenza di un modello, il "tipo" (olotipo) di riferimento, cioè un esemplare che la rappresenti ed utile per i confronti, conservato in un museo o in una collezione. Viene usata soprattutto dai tassonomi per classificare gli animali, ed è il metodo usato da Linneo per creare il suo Systema Naturae che si basava principalmente sul fatto che tutti gli animali discendono da una coppia ancestrale creata da Dio e, per questo, non modificabile. L'esemplare quindi può servire per i confronti; ma non è sempre così, perché ad es. può perdersi. In questo caso può essere rimpiazzato da un neotipo. Quindi, per definizione, il concetto di specie tipologica non implica necessariamente il fissismo di Linneo, perché al tipo se ne possono aggiungere altri, paratipi, che danno l'idea della variabilità. Questo concetto, sebbene oggi comunemente utilizzato in tassonomia, è formalmente incompleto e di utilizzo più pratico che teorico, in quanto criticato aspramente da Lamarck in poi, che con la teoria nominalistica mette in discussione l'idea stessa di archetipo.
  • Specie Cronologica: La cronologica è basata sul concetto "tempo" ed è il classico campo di studi sulla paleontologia sistematica e biostratigrafia (utilizzata soprattutto per i fossili, quali prove paleontologiche dell'evoluzione).
  • Specie Fenetica (e Filofenetica):
    È il livello al quale può essere osservato un gruppo fenetico distinto.
    È la revisione in chiave moderna del concetto tipologico di specie. Il concetto fenotipico, al contrario del concetto tipologico, riconosce una variabilità all’interno della specie.
    Recentemente il concetto è stato ripreso da Nixon e Wheeler per la loro definizione di concetto filogenetico di specie. Definiscono la specie:
    “il più piccolo aggregato di popolazioni (sessuate) o linee (asessuate) diagnosticabili grazie ad una combinazione esclusiva di stati di caratteri in individui confrontabili”. (Nixon e Wheller, 1990)
    Si applica alle specie polifeniche ma non risolve il problema delle piante fossili né tanto meno quello delle specie gemelle. Le specie gemelle (sisters group) sono simili in tutto, dal punto di vista dell’aspetto e da quello della nicchia ecologica di appartenenza, ma incapaci di incrociarsi. Queste specie dal punto di vista fenotipico sono simili, ma non possiamo allora considerarle la stessa specie, perché dal punto di vista biologico appartengono a gruppi differenti. La filofenetica è basata sulla combinazione della metodologia fenetica con la teoria evolutiva, considerando nell'analisi delle similitudini anche le relazioni filogenetiche.
    La specie fenetica applica algoritmi di analisi delle similitudini e dei caratteri comuni, rendendo questa metodologia in grado di analizzare anche esseri inanimati. Utile per i fossili, anche questa definizione non tiene conto delle relazioni filogenetiche tra i rami evolutivi e le specie.

  • Specie Ecologica: La specie è un raggruppamento di organismi che vivono nelle stesse nicchie ecologiche e che sfruttano le stesse risorse.
    Si basa sul fatto che la vita si presenta in forme differenti date dall’adattabilità degli organismi all’ambiente in cui vivono. È proprio l’ambiente a favorire l’interbreeding. Gli esseri viventi saranno portati a riconoscere i propri simili ed a favorire l’incrocio con essi.
    Si applica a tutti gli esseri viventi?
    - no, in particolare se ci si riferisce a popolazioni locali di specie di gran distribuzione: se una specie è largamente distribuita i suoi individui si possono trovare a dover occupare delle nicchie differenti per adattamento all’ambiente.
    - nel caso di specie simpatriche, quelle cioè che, per definizione occupano una stessa nicchia, non possono essere considerate la stessa specie.
    La competitività delle specie farà sì che si mantengano le caratteristiche specifiche anche vivendo in nicchie ecologiche diverse. Usiamo il plurale perché alcune specie cambiano nicchia ecologica secondo lo stadio di vita in cui si trovano, dal sesso a cui appartengono. Specie molto diverse possono convivere in uno stesso ambiente perché sfruttano risorse differenti.
Una considerazione và fatta per i generi considerati specie morfo-cronologiche, quindi indagabili statisticamente per la loro variabilità, e al fatto che sicuramente due organismi per appartenere alla stessa specie devono condividere caratteristiche di base e numerose particolarità, talora prive di importanza adattativa (caratteri meristici). Poiché ci si trova spesso di fronte a varie popolazioni apprezzabilmente differenziate, la creazione di specie separate o la loro unificazione in una sola specie, a causa del polimorfismo, dipende dalla esperienza dei ricercatori che valutano la diversità intra e extra-specifica.
La definizione attualmente più utilizzata è quella di Specie Biologica, concetto svilluppato come abbiamo visto da Theodosius Dobzhansky e da Ernst Mayr, basata sulla capacità di organismi cospecifici di incrociarsi e dare prole fertile. Benché funzioni nella maggior parte dei casi, questo criterio non si applica o lascia dubbi nei casi di:

  • riproduzione asessuale, ermafroditismo sufficiente o partenogenesi esclusive;

  • subfertilità di vario grado degli ibridi;

  • presenza di gruppi morfologicamente identici al resto della specie ma riproduttivamente separati a causa di rimaneggiamenti cromosomici (criptospecie o sibling species).
Criptospecie e "sibling species": La vulnerabilità di un concetto di specie che sia puramente morfologico è rivelata dall'esistenza di popolazioni naturali con tutti gli attributi genetici e biologici delle buone specie, ma aventi scarse o nulle differenze morfologiche. Queste popolazioni, che vivono in simpatria, e che da un punto di vista strettamente morfologico sembrerebbero conspecifiche, vennero nel passato definite "specie criptiche" o "razze biologiche". Attualmente si preferisce adottare la terminologia suggerita da Mayr che attribuisce il nome "sibling species" (specie sorelle) a tutte quelle specie criptiche che si nascondono in un'unica morfospecie; si tratta, cioè, di:
"popolazioni naturali, morfologicamente molto simili o addirittura identiche, ma riproduttivamente isolate, riconoscibili tra loro attraverso metodi che non siano esclusivamente morfologici".
Le specie sorelle sono molto importanti in biologia, in quanto consentono di saggiare la validità del concetto biologico di specie rispetto a quelli morfologici e perchè, almeno nell'opinione di molti autori, esse avrebbero avuto una importanza storica nello studio della speciazione. Esse non rappresentano, tuttavia, un fenomeno speciale o un particolare tipo di specie, bensì sono semplicemente specie un tempo confuse tra loro a causa di inadeguati approcci diagnostici.
I criteri adottati per mettere in evidenza e riconoscere le specie sorelle si rifanno a differenze di tipo ecologico, etologico e fisiologico. Gli attributi comunemente saggiati a tale riguardo sono:
  • differenze biometriche
  • riproduzione mediante prove di ibridazione
  • abitudini (struttura del nido,impulsi luminosi, scelta dell'habitat, stagione degli amori, etc.)
  • vocalizzazione, cioè l'insieme delle differenze nel canto e nelle note di richiamo sessuale
  • scelta dell'ospite per le specie simbionti o parassite
  • patogenicità delle specie parassite
  • il tipo di simbionti, commensali o parassiti ospitati
  • prove citologiche
  • analisi biochimica (elettroforesi, cromatografia, etc.).
A quest'ultimo riguardo di particolare interesse è l'approccio di Ayala & Powell (1972) e di Avise (1975) che, tra i primi, hanno utilizzato le tecniche elettroforetiche, oltre che per la risoluzione di questo particolare problema, anche per definire il differenziamento subspecifico ed il riconoscimento delle differenti popolazioni che costituiscono una specie. Un concetto analogo a quello di "specie sorelle" è quello di "specie geografiche", cioè di razze locali, che vivono in areali differenti, oggi rivalutate come buone specie a seguito di controlli biologici sul loro effettivo isolamento riproduttivo.

In pratica si individuano le specie basandosi su criteri gestiti dall'esperienza e dal buon senso. Dal punto di vista dell'evoluzione, per l'idea darwiniana, la formazione di una specie è spesso un fenomeno graduale al contrario di quanto pensava Linneo, secondo il quale le specie naturali erano imperfette materializzazioni di idee immutabili ben distinte. Per i paleontologi le specie possono anche avere comparsa improvvisa e lunga stasi evolutiva (vedi equilibri punteggiati di Gould e Eldredge).

Ma come si origina una specie? ovvero che cos'è la speciazione?
Quando viene pubblicato per la prima volta L'Origine della Specie di Darwin, il 24 novembre del 1859, è chiaro che:
in essa Darwin spiega con "una lunga argomentazione" la sua teoria, secondo cui "gruppi" di organismi di una stessa specie si evolvono gradualmente nel tempo attraverso il processo di selezione naturale, rifiutando quella più in voga fino a quel tempo, il creazionismo, che ritiene le specie, essendo create da Dio, perfette ed immutabili.
Gli individui di una popolazione sono in competizione fra loro per le risorse naturali; in questa lotta per la sopravvivenza, l'ambiente opera una selezione, detta selezione naturale. Con la selezione naturale vengono eliminati gli individui più deboli, cioè quelli che, per le loro caratteristiche sono meno adatti a sopravvivere a determinate condizioni ambientali; solo i più adatti sopravvivono e trasmettono i loro caratteri ai figli. In sintesi, i punti principali su cui è basata la teoria evoluzionistica di Darwin sono: variabilità dei caratteri, eredità dei caratteri innati, adattamento all'ambiente, lotta per la sopravvivenza, selezione naturale ed isolamento geografico.
La teoria dell'evoluzione di Darwin si basa su 5 osservazioni-chiave e sulle conclusioni che se ne traggono, come riassunto dal biologo Ernst Mayr, che sono:

  1. le specie sono dotate di una grande fertilità e producono numerosi discendenti che possono raggiungere lo stadio adulto;

  2. le popolazioni rimangono grosso modo delle stesse dimensioni, con modeste fluttuazioni;

  3. le risorse di cibo sono limitate, ma relativamente costanti per la maggior parte del tempo. Da queste prime tre osservazioni è possibile dedurre che verosimilmente in ogni ambiente ci sarà tra gli individui una lotta per la sopravvivenza;

  4. con la riproduzione sessuale generalmente non vengono prodotti due individui identici. La variazione è abbondante;

  5. gran parte di questa variazione è ereditabile.
Per queste ragioni Darwin afferma che:
"in un mondo di popolazioni stabili, dove ogni individuo deve lottare per sopravvivere, quelli con le "migliori" caratteristiche avranno maggiori possibilità di sopravvivenza e così di trasmettere quei tratti favorevoli ai loro discendenti. Col trascorrere delle generazioni, le caratteristiche vantaggiose diverranno dominanti nella popolazione". (Questa è la selezione naturale)
Darwin afferma inoltre che la selezione naturale, se si trascina abbastanza a lungo, produce dei cambiamenti in una popolazione, conducendo eventualmente alla formazione di nuove specie (speciazione). Egli propose una miriade di osservazioni come dimostrazione del processo e dichiarò anche che la documentazione fossile potesse essere interpretata come sostegno a queste osservazioni. Darwin immaginò inoltre la possibilità che tutte le specie viventi discendessero da un antico progenitore comune (le moderne prove del DNA sostengono proprio questa idea).
Benchè l'opera di Darwin si intitoli L'Origine della Specie, ben poche parti del testo sono riservate all'analisi del processo speciativo e dell'evoluzione di nuove specie.
Darwin sostiene l'idea che nuove specie si siano formate simpatricamente per riempire nicchie vuote, ritenendo dunque la speciazione simpatrica un importante motore della diversità biologica.
Nell'idea di Darwin, la sua idea della vita ripresa successivamente dalla Sintesi Moderna, l'evoluzione graduale delle specie (gradualismo filetico) comprende in realtà due processi disitinti:

  • La trasformazione graduale di una specie, il suo lento sfumare l’una nell’altra, che, per conseguenza, non prevede un aumento del numero delle specie esistenti simultaneamente (trasformazione filetica). Simpson sostenne che la trasformazione filetica è il meccanismo che spiega la comparsa di caratteri che rendono le specie sempre più adattate, e che ne consentono il progressivo differenziarsi. Questa idea del processo speciativo, qualora indicata come unico meccanismo di speciazione, non darebbe conto della biodiversità esistente. Inoltre, le estinzioni, che già al tempo di Darwin costituivano una innegabile evidenza, avrebbero decimato la diversità ed il numero delle specie. Per questo motivo è necessario introdurre un secondo meccanismo di speciazione.

  • La graduale suddivisione di una specie ancestrale in due gruppi di specie discendenti (speciazione filetica). La speciazione filetica è l'unico processo che produce un aumento del numero delle specie.


Speciazione filetica (sopra) a confronto con la trasformazione filetica (sotto).
Darwin ed i teorici della Sintesi Moderna dopo di lui honno insistito su un'idea di speciazione simpatrica e fortemente gradualistica, ma questa idea porta strettamente con sè quelle di:

  • lentezza ed uniformità del processo speciativo;

  • progressione, spinta dalla selezione naturale e dal continuo aumento dell'adattamento all'ambiente;

  • continuità e pienezza, ovvero l'idea che un processo di divergenza graduale dovesse produrre tutti gli stadi intermedi tra una forma e l'altra.
Le continue mutazioni che avvengono a livello di DNA e le conseguenti modificazioni delle frequenze geniche nel corso delle generaioni, unitamente all'azione della selezione naturale in grado di fissare le mutazioni vantaggiose per la sopravvivenza, sarebbero la causa dell'evoluzione e del differenziamento delle specie. In questo approccio, la macroevoluzione è interamente spiegabile con la microevoluzione (estrapolazionismo). Questa lettura verticale e fortemente gradualistica dell'evoluzione e della speciazione ha spinto JBS Haldane, uno dei massimi teorici della Sintesi Moderna a definire la specie, ancora nel 1956, come:
"una concessione alle nostre abitudini linguistiche ed ai nostri meccanismi neurologici".
 Haldane, J. B. S.
Se la teoria della speciazione simpatrica continua a trovare credito ed è oggetto di studio e di approfondimento da parte di alcuni biologi evoluzionisti, la speciazione allopatrica risulta comunque essere il modello più conveniente ed accattato nella comunità scientifica. Nel meccanismo di speciazione allopatrica assume molta importanza la deriva genetica, teorizzata da Sewall Wright: in piccole popolazioni, infatti, la deriva genetica diventa il meccanismo dominante per il trasporto delle mutazioni e bastano poche migliaia di generazioni per fissarle definitivamente e trasformare la popolazione in modo irreversabile.
Esiste almeno un terzo tipo di speciazione, la speciazione parapatrica, che sembra una via di mezzo tra il meccanismo simpatrico e quello allopatrico.
I due più importanti meccanismi di evoluzione sono la selezione naturale e la deriva genica, quest'ultimo è per definizione un eventi di tipo casuale (stocastico).
L'aspetto più importante della deriva genetica è rappresentato dalla natura casuale della trasmissione degli alleli da una generazione alla successiva, soltanto una frazione molto piccola delle possibili combinazioni alleliche che si potrebbero ottenere combinando i genomi di due genitori si realizza in un individuo che nasce e diventa adulto e, questo individuo, sarà a sua volta in grado di trasferire gli alleli ricevuti alla generazione successiva.
In popolazioni molto ampie questo aspeto avrà poca importanza, perchè l'alto numero di individui prodotti in ciascuna generazione compenserà l'effetto della perdita casuale di alleli che non vengono ereditati e molti diversi alleli tenderanno a circolare nella popolazione.
In popolazioni di piccole dimensioni, diversamente, alcuni alleli diminuiranno moltissimo nella loro frequenza nella generazione successiva, senza che sia in azione nesun tipo di forza selettiva, ma soltanto perchè possono non essere ereditati. Questo processo di fluttazione casuale procederà per diverse generazioni e nel tempo potrebbe anche capitare che alcuni alleli non sopravvivono e si perdano per sempre, anche senza essere stati oggetto di selezione negativa. Queste piccole popolazioni isolate, nel giro di poche generazioni, potranno differire significativamente tra loro per un buon numero di alleli (due casi particolari di deriva genica sono l'effetto del fondatore e il collo di bottiglia).
Nello specifico i tipi di speciazione sono: 

  • Speciazione Simpatrica: La speciazione simpatrica avviene quando due popolazioni non isolate geograficamente si evolvono in specie distinte. In questo caso la selezione naturale gioca un ruolo cruciale nella divergenza delle popolazioni. Il fenomeno presenta tuttora degli aspetti controversi ma è stato, in alcuni casi ben documentato, per esempio nei pesci di acqua dolce della famiglia dei Ciclidi e i principali studi di laboratorio in questo campo riguardano gli esperimenti sulla Drosophila (L'idea della speciazione simpatrica non è stata tuttavia completamente accantonata, in quanto diversi casi illustrano un pattern evolutivo che sembra essere compatibile con un processo di questo tipo. Tuttavia, prima di definire la reale possibilità che un processo di tipo simpatrico possa aver avuto luogo, è necessario che vengano formulati rigorosi modelli matematici, effettuare esperimenti di laboratorio e studiare con molta più cura i possibili esempi in natura). La speciazione simpatrica può avvenire per formazione di una criptospecie, ossia di una popolazione non più interfeconda con la specie di origine, a causa di alterazioni del cariotipo. Uno dei meccanismi alla base del fenomeno è la poliploidia, ossia l'aumento dell'assetto cromosomico di un individuo. La poliploidia può avvenire per: una non-disgiunzione dei cromosomi durante il processo mitotico o meiotico; un processo meiotico o mitotico avvenuto senza errori, ma senza la successiva citodieresi. Dunque, prendendo in esame un qualunque individuo diploide, si può immaginare una situazione del genere: l'individuo effettua la meiosi; durante la meiosi, avviene una non-disgiunzione dei cromosomi: i gameti risulteranno quindi diploidi; i gameti si incrociano tra loro: lo zigote risultante sarà tetraploide, ossia avrà un assetto cromosomico doppio rispetto al suo ascendente originario, cioè l'organismo iniziale preso in considerazione. Tuttavia, la formazione di criptospecie avviene perlopiù a livello di ibridi, cioè di individui frutto dell'incrocio di due specie differenti e, quindi, sterili. In tutti i modelli di speciaizone simpatrica si riscontrano due principali problemi, che non sussistono invece nella speciazione allopatrica, in primo luogo, l'antagonismo tra selezione e ricombinazione.
    In questo tipo di processo l'isolamento tra le specie deve avvenire solo a livello dell'habitat (ma all'intrno di una stessa area geografica), in quanto l'isolamento da distanza responsabile dell'evoluzione indipendente e dalla formazione della barriera riproduttiva, non può intervenire. La ricombinazione genica potrà guastare l'associazione tra alleli che contribuiscono al successo in ciascuno degli habitat e gli alleli che consentano di riconoscere e preferire quell'habitat, demolendo l'effetto della selezione naturale che tende a differenziare le specie intensificando la preferenza di un particolare e diverso ambiente in ognuna delle specie incipienti. Il secondo problema è quello relativo alla coesistenza, perchè la specie simpatrica richiede infatti che le popolazioni sviluppino sufficienti differenze ecologiche che consentano loro di coesistere durante e dopo l'evoluzione delle barriere riproduttive.
    Le teorie più recenti propongono modelli di speciazione simpatrica su:
    1) la selezione sessuale attraverso l'accoppiamento assortativo e il conflitto sessuale;
    2) la selezione naturale disruptiva.
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